L’ex ministro Giulio Tremonti ha rilanciato con forza il tema della web tax, nel suo articolo sul Corriere della Sera. Tornato da tempo sui suoi passi e vede ormai sovranismo e libertà legati ad una più forte regolazione dei mercati mondiali sopratutto per gli operatori digitali. Per questa finalità è persino disposto ad abbracciare l’impegno e l’appello del Ministro francese delle Finanze Bruno Le Maire. Il ministro Tria sostiene che in caso di mancato accordo europeo l’Italia andrà avanti da sola. E’ una bella fatica provare a far decidere su un tema del genere l’UE in tempi di guerre tariffarie e di sanzioni , ma coglie una verità: tutti sentono il bisogno di maggiore ordine nelle politiche fiscali soprattutto da quando l’economia pervade la nostra infosfera quotidiana. Già perchè la distinzione tra economia digitale e non, è molto difficile. Al di là del grande consenso di cui gode la promessa di tassare il digitale, l’esigenza di regole comuni è avvertita concretamente da anni e l’OCSE, è riuscita finalmente a far adottare le 14 azioni anti BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) dal G20 , poi dall’Ecofin e via via dai singoli paesi. La fine di alcuni paradossi fiscali come quello Irlandese è solo una delle prove. Lo sfondo nel quale si stanno propagando le nuove regole è quello di vero trattato fiscale (in costante adozione, misurazione e verifica) che punta sulla trasparenza, definizione, comunicazione e verifica . Per sapere quanto, come, dove e quando producono, spendono e guadagnano davvero i colossi del web(OTT o FANG ed altri) ma anche tutte le grandi realtà transazionali, i brand più affermati da Starbucks ad Apple che hanno nella loro produzione di valore una fortissima componente immateriale e una presenza globale.
E’ chiaro a tutti che una web tax nazionale o europea, che potrebbe diventare inutile, ha poche chance di essere approvata e di funzionare, oppure servirà a qualcosa ma non darà poi molto essendoci ormai molto meno “campo” per elusioni e trucchi e spostamenti di profitto. In un ecosistema regolatorio molto complesso, gran parte dei paesi europei sono già riusciti a far pagare oneri rilevantissimi a questi soggetti a legislazione vigente anche con l’implementazione delle regole Beps. La tassa sul fatturato farà di più e meglio ?
Il tema è semmai a chi servirà questa imposta
Alle casse dell’erario? Certo. A limitare la crescita dei “giganti del web”? Forse , ma i beneficiari vista la concorrenza globale sarebbero i giganti orientali sostenuti dagli stati e dai vasti mercati interni. Agli utenti? Difficile, perchè sarà probabilmente un aggravio trasferito. Ai produttori di contenuti? Improbabile tra i FANG sono già in molti a produrre (Netflix) e le divergenze su modi e tempi di accesso degli utenti alle piattaforme vanno più lentamente delle possibilità, dell’utenza e delle politiche industriali. Rallentarà un po’ la crescita della domanda digitale nei paesi già lenti, forse, ma , in questo caso, la conseguenza di una “regola di giustizia fiscale” potrebbe essere paradossale.
La nuova rivoluzione TLC
Tra gli attori più rilevanti della crescita futura tornano ad essere le società di telecomunicazione. Oltre la fatica della concorrenza nel core business del mobile tradizionale, le Telcos hanno subito un aggravio cospicuo per gli investimenti nelle frequenze del 5G e per l’installazione di reti di nuova generazione (Banda Ultralarga), senza veder cambiare il modello di business di cui si avvantaggiano , e si avvantaggeranno, gli OTT . Un ritorno c’è (anche grazie a di dati) ma quello sugli investimenti dai servizi del 5g è ancora indefinito, e quello, più chiaro, legato alla capacità del cablaggio FTTH, è tuttavia un ritorno lento. Entrambi i fronti avrebbero bisogno di uno stimolo alla crescita di qualità e portata della domanda, di cultura aziendale e competenze adatte a questa rivoluzione- Una tassa sul fatturato digitalemigliorerà qualcosa?
Forse regolatori ed attori di mercato dovrebbero ragionare finalmente su nuovi modelli di business e nuove più flessibili e redditizie condizioni di accesso alla rete, soprattutto in tempi di crescente disponibilità di banda? O no?
Insomma l’aggiornamento o l’inasprimento della “catalogo” di regole accennato da Tremonti, di condizioni, controlli, su dati, privacy, dimensioni e tasse, non è sbagliato in sé ma è davvero troppo poco e troppo tardi in un mondo che va molto più veloce . Sopratutto laddove il digitale va lanto, ci vuole piuttosto una politica coraggiosa di investimenti, regole che non ostacolino il cambiamento innovativo, formazione e cultura della crescita e della innovazione.
di Massimo Micucci
(da Medium)