«È come vivere in un videogame: vedi un mostro, lo combatti, lo vinci, sei rilassato. E invece ne compare un altro più forte del primo». Giulio Tremonti, ex Ministro dell’Economia, utilizzò questa metafora – che ebbe molta eco negli anni successivi – per spiegare la crisi economica, durante la conferenza di Parigi “Nuovo Mondo, nuovo capitalismo”. L’emergenza sanitaria ed economica, con cui ormai conviviamo da due anni, si arricchisce costantemente di nuovi elementi: la recrudescenza del covid; il conflitto russo-ucraino; la crisi energetica; il picco inflazionistico eccetera.
Una transizione incerta
Questi fattori di incertezza minano costantemente qualsiasi forma di programmazione, rendendo asfittici i piani di rilancio e costringendo gli attori istituzionali a rivalutare i propri obiettivi. In particolare, la transizione energetica continua ad essere ricca di incognite – dalla costante carenza dei semiconduttori fino alla crisi delle materie prime – con un riverbero significativo in diversi settori.
Tra i più colpiti, si segnala quello dell’automotive che – confermando un trend discendente delle immatricolazioni, in calo per il nono mese consecutivo – vede allontanarsi gli obiettivi della Commissione Europea di arrivare a 30 milioni di veicoli a zero-emissioni in circolazione entro il 2030. Come si legge in un report di Deloitte: «Per i regolatori non è dunque più una questione di “quando” bensì di “come” raggiungere questi obiettivi che però furono delineati ben prima dell’attuale guerra e di tutte le conseguenze di lungo termine dovute alla pandemia. Sarà importante quindi che le istituzioni mantengano un approccio volto a promuovere tutte le tecnologie “green“».
Obiettivi a rischio?
Quello dell’automotive è solo un esempio, ma la Storia non procede mai come una linea retta ed è da sempre accompagnata da pandemie, conflitti, crisi economiche o incidenti. Non deve perciò sorprendere la comparsa o la rigenerazione di nuovi “mostri”.
Il dato più allarmante emerso da questo biennio è l’incapacità delle classi dirigenti di avere una visione realistica e percorribile del futuro, oltre alla sostenibilità – non solo ambientale – delle ricette promosse. Solo per citare un esempio, le fanfare con cui l’approvazione del Green Deal è stato accompagnato sono state rapidamente riposte da Joe Biden, la minaccia esistenziale del cambiamento climatico non è più tale e l’obiettivo di riduzione delle emissioni nel 2030, come sentenzia Bloomberg, è quasi morto.
Stessa sorte per quanto riguarda la carenza di semiconduttori, l’European Chips Act in cui – nonostante siano previsti copiosi investimento pubblici e privati, oltre ai 30 miliardi già stanziati dall’UE – non sembra così solido come annunciato, ed anche in questo caso gli obiettivi di neutralità climatica sono fortemente a rischio.
Il ruolo della Cina
Mentre i policy maker europei e americani si arrovellano intorno a percentuali e decimali, la Cina continua ad essere allo stesso tempo l’attore protagonista e l’incognita più ingombrante della transizione energetica. Al di là delle politiche green, la supremazia cinese sulle terre rare è ampiamente nota, così come il Dragone ha già messo una seria ipoteca sull’automotive green. Se la dipendenza dal gas russo è stato un azzardo, soprattutto in assenza di reali alternative, allo stesso tempo, come sostiene Marco Bonometti, presidente del Gruppo Omr e membro del consiglio generale di Confindustria, «puntare solo sull’auto elettrica – è un suicidio. Può essere una delle varie soluzioni per ridurre le emissioni, ma nella situazione attuale non è sostenibile avere in Europa tutte auto elettriche […] mancano le materie prime per le batterie: litio e nichel. Ma anche se dovessero esserci in futuro, se prima dipendevamo dal gas russo, con l’auto elettrica dipenderemo da componenti che arrivano dall’Asia, in particolare Cina e Taiwan». L’insipienza politica e strategica dell’Unione Europea sta rafforzando la sudditanza economica nei confronti della Cina che, come dimostrano le rigide regole anti-Covid e il blocco del porto di Shanghai, rappresenta una reale minaccia alle catene di approvvigionamento globali. Non si intravede all’orizzonte un ridisegno delle forniture su scala regionale in grado di smentire le previsioni di crescita, ritoccate al ribasso.
Che la fragilità delle rotte commerciali post-covid e la debolezza delle politiche green rappresentino il canto del cigno della globalizzazione?