Da un tweet “provocatorio” la chiamata a raccolta dei comunicatori.
Tutto è partito dal cinguettio estivo di Filippo Sensi, in arte @Nomfup, che così diceva: “E se, disintermediando disintermediando, fosse divenuto superato e superfluo lo spin doctor? Una provocazione”.
L’artefice principale dell’ascesa di Matteo Renzi lancia il sasso e, rapidamente, scalda il web dei professionisti e appassionati di comunicazione politica.
Perché uno spin doctor coinvolge altri spin doctor in una simile discussione? Qualcosa minaccia il futuro di questa professione?
Il dibattito va avanti per ore. Le posizioni sono nette, diverse e complesse. C’è chi pensa che la figura dello spin doctor sia ormai sorpassata e chi ritiene che invece proprio per la complessità di questa fase storica, sia ancora più importante e che al massimo debba aggiornarsi per restare al passo coi tempi; chi, invece, invoca figure più tecniche e chi non rinuncia ai generalisti.
Nella stagione che stiamo vivendo la politica cambia sempre più velocemente, anche grazie ai social network e alla comunicazione sempre più diretta adottata dai leader politici di oggi. Basta loro, infatti, prendere uno smartphone, cliccare play e subito vanno in diretta parlando a braccio a milioni di persone, quando un tempo le dirette televisive o radiofoniche erano studiate a tavolino nei minimi dettagli.
Ma in questo modo, che spazio resta per la strategia di lungo periodo? Come si innesta la figura dello spin doctor in rapporto al politico e alla politica sempre più veloce?
Tutto questo si è provato a dare risposta lunedì mattina in una chiacchierata organizzata da Claudio Velardi, ex spin doctor di Massimo D’Alema e padrone di casa della Fondazione Ottimisti&Razionali, alla presenza proprio di Filippo Sensi e di Antonio Palmieri, oggi deputato di Forza Italia.
Prima domanda: La disintermediazione uccide lo spin?
Filippo Sensi: Si è chiusa l’era dello staff. Non ho mai creduto alla dis-intermediazione come assenza di mediazione. La disintermediazione è re-intermediazione.
Antonio Palmieri: La disintermediazione non uccide lo spin… se metti a punto un progetto di comunicazione radicato nella realtà politica e sociale del momento, tradotto in contenuti forti, agile per rispondere tatticamente ai mutamenti e alle mosse dell’avversario. C’è bisogno di molto più lavoro.
Seconda domanda: è il politico il vero spin doctor?
Filippo Sensi: Il leader resta sempre un demiurgo? E’ ancora così? E’ giusto che chi fa questo lavoro di re-intermediazione custodisca rivendichi una professionalità, una lavoro di accompagnamento, di condivisione e individuazione di piattaforme.
Antonio Palmieri: I grandi leader lo sono. Comunque spetta al leader indicare ai comunicatori gli obiettivi ed essere il testimone (non il testimonial, cosa ben diversa) della propria comunicazione. Il comunicatore è il ministro cioè, etimologicamente, il servitore.
Claudio Velardi: La visione è del politico, del leader, del capo azienda. Lo spin deve mettere la competenza, la strumentazione tecnica, l’impacchettamento intelligente. Ma non deve mancare la sensibilità a stuzzicare, stimolare e contrastare comunicativamente il leader. Lo spin deve contrastare il dante causa.
Terza domanda: e comunque produrre consenso o contenuti?
Filippo Sensi: Il tema che i contenuti producono consenso è il grande mistero del nostro tempo. Dove si crea il consenso è ancora un mistero. La fabbrica del consenso è un po’ di Truman Show. Noi lavoriamo con la questione fiducia: possiamo dire che un progetto più o meno credibile ha le potenzialità per trovare consenso?
Antonio Palmieri: Senza contenuti non vi è consenso. Il leader è il contenuto e deve essere “aderente e in sintonia con la realtà”, usando un linguaggio chiaro, semplice, diretto e concreto, per tenere insieme in primo luogo i sostenitori e provare ad allargare il bacino.
Claudio Velardi: Il problema tra consenso e contenuti è il tempo. Bisognerebbe creare un equilibrio tra i due.
Quarta domanda: La tecnologia: strumento o fine?
Filippo Sensi: La tecnologia non è più uno strumento, è l’ambiente per la politica e la società. Difficile pensare di farne a meno.
Antonio Palmieri: La tecnologia è uno strumento, come lo è ogni forma di comunicazione. Ma prima viene sempre la realtà: leader, valori e progetto. La comunicazione e dunque la tecnologia sono al servizio della politica.
Quinta domanda: La Frattocchie per gli spin doctor?
Filippo Sensi: No. Ci sono e ci vogliono tanti corsi, esperienze, incontri.
Antonio Palmieri: Perché no? Purché non si chiami Frattocchie. Utile non solo per i comunicatori, ma anche per ogni politico.
Disintermediando Disintermediando e dibattendo dibattendo, sono emerse posizioni diverse. E chissà quante altre ne emergeranno se solo si tiene in considerazione la volubilità della figura del politico e, di conseguenza, della sua comunicazione. Il dibattito è aperto e in continua evoluzione, per cui non rimane che lasciare ai posteri l’ardua sentenza.
Articolo di Claudia Dionisi