sabato, 23 Settembre 2023

Tecnologia e democrazia: la soluzione è nella complessità

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Dal giorno del referendum sulla Brexit e ancora di più dal giorno dell’elezione di Donald Trump si fronteggiano apertamente due tesi sugli effetti della tecnologia sulla democrazia. Secondo la prima, la democrazia è fragile e i suoi delicati meccanismi vengono minacciati mortalmente dalle trasformazioni tecnologiche. I principali sostenitori di questa tesi solitamente appartengono a centri di potere che una volta erano inespugnabili e oggi si vedono sfidati o piegati dalle innovazioni e da nuovi attori.

La seconda tesi, meno d’impatto e più popolare, si contrappone alla prima sostenendo che in fondo non stia accadendo nulla di nuovo rispetto al passato, mutatis mutandis. Basta fare le debite proporzioni: i momenti di profondo mutamento tecnico o tecnologico hanno sempre portato a terremoti sociali, politici e religiosi risolti dal progresso. In fondo anche col sistema comunicativo del XX secolo incentrato sulla televisione si poteva ingannare e manipolare arrivando al cuore delle nostre emozioni, si poteva disinformare e nascondere.

Ma se la democrazia non è più in pericolo di quanto lo fosse prima significa che questo sistema, di fronte all’urto dei cambiamenti tecnologici, troverà spontaneamente un nuovo equilibrio conservativo. Credo che entrambe le tesi contengano spunti validi, ma che manchino di prospettiva e di consapevolezza del fenomeno che possiamo definire generalmente trasformazione digitale.

Questo fallimento si ritrova in due presupposti su cui spesso ci si basa: che tutto avvenga complessivamente con spontaneità, cioè che nessun attore possa essere in grado da solo di influenzare tutto il sistema, e che sia sempre possibile descrivere il sistema con semplicità. Il fallimento di questi due presupposti dovrebbe essere chiaro proprio dal punto da cui siamo partiti, da giugno e novembre 2016, e dal nome che collega quegli eventi: Cambridge Analytica.

Possiamo pensare che Cambridge Analytica sia un capro espiatorio per il fallimento politico e sociale delle élite progressiste ma, allargando lo sguardo, non possiamo escludere che quest’ultima sia una narrazione particolarmente efficace costruita negli ultimi anni da una controparte conservatrice.

Possiamo non credere, usando strumentalmente risultati scientifici specifici, all’efficacia di determinati metodi ma dobbiamo ammettere che ne stiamo parlando basandoci su una descrizione semplice e semplicistica che gli stessi interessati ci hanno fornito. Il punto è che non possiamo crogiolarci nella consapevolezza che il sistema sia complessivamente caratterizzato da spontaneità e non dirottabile da altri su larga scala e di nascosto.

Oggi Facebook racchiude i contenuti e le interazioni di 2,2 miliardi di individui, dall’inizio dell’anno la disinformazione tramite Facebook in Sri Lanka ha provocato più di un morto negli scontri tra buddisti e la minoranza musulmana, in Myanmar la diffusione sui Social Media di teorie complottistiche è ingrediente esplosivo nella persecuzione della minoranza etnica Rohingya, in entrambi i casi sappiamo che esiste chi strumentalizza con precisione questi fenomeni.

Come nel caso della manifestazione del 21 maggio 2016 a Houston pro e contro un centro islamico. È vero, spesso non è facile risalire a chi lavora per sgretolare delicati equilibri e non si può negare che la piattaforma di Facebook sia stata creata volutamente per essere una sorta di parco giochi cognitivo che non renda facile il compito. Ma è anche vero che vi partecipiamo tutti consapevolmente e che quindi la responsabilità individuale sia l’origine ma anche, probabilmente, la soluzione dei problemi.

Ci troviamo di fronte a fenomeni che non sono più riconducibili alla semplicità a cui eravamo abituati. La semplificazione e la sintesi a cui eravamo ispirati anche dai processi democratici e sociali nel secolo scorso, non sono più realistici. Viviamo in un contesto molto più complesso del passato che risponde a leggi via via più complesse man mano che si analizza in profondità. Tutto questo significa che, ancora una volta, la sopravvivenza della democrazia all’impatto dei cambiamenti tecnologici dipenderà da noi. Non accadrà spontaneamente, dovremmo essere consapevoli che per la prima volta numerosi attori hanno la capacità di distruggere un ecosistema democratico e forse lo stanno già facendo.

Dobbiamo avere l’attitudine a reagire alle minacce ma avere anche la capacità di analizzarle e capirle. Per disinnescare i pericoli comunicativi connessi alle innovazioni tecnologiche bisognerà in ogni ambito, con pazienza, invertire la tendenza dominante a semplificare e a restringere la nostra visione, studiando i fenomeni come sistema e comunicando la complessità, mantenendo intatta la ricchezza delle numerose sfaccettature.

 

di Luca Alagna

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la democrazia non è più in pericolo di quanto lo fosse prima, ma di fronte all’urto dei cambiamenti tecnologici deve trovare un nuovo equilibrio

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