La proposta di Regolamento Europeo anticipata dalla Presidente della Commissione Europea Von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione dello scorso mercoledì prevede l’introduzione di una tassa sugli extra profitti delle imprese operanti in Europa nei settori del petrolio, gas, carbone e raffinazione.
La base imponibile per il calcolo della tassa è rappresentata dall’incremento, superiore al 20%, degli utili imponibili relativi all’anno fiscale iniziato con il 1° gennaio 2022 (o successivamente) rispetto alla media degli utili imponibili generati nei tre anni fiscali precedenti (a partire dal 2019).
La tassa dovrà applicarsi in via temporanea e solo, pertanto, ai maggiori utili imponibili conseguiti nell’anno fiscale 2022. Il gettito così raccolto potrà essere utilizzato dagli Stati Membri per dare copertura finanziaria a interventi normativi diversi. Tra questi, l’elargizione di sconti in bolletta per alcune categorie di clienti finali, energivori e vulnerabili; lo stimolo ad investimenti in linea con il Piano REPowerEU; la remunerazione di servizi di riduzione dei consumi elettrici da parte dei clienti finali.
L’aliquota di tassazione è stata fissata al 33%. Il Regolamento, che per sua natura non ha necessità di essere trasposto negli ordinamenti nazionali ma ha efficacia immediata, stabilisce che gli Stati Membri adeguino alla normativa europea eventuali misure già esistenti e aventi le stesse finalità. In particolare, entro il 15 ottobre, gli Stati Membri dovranno informare la Commissione Europea circa l’introduzione del contributo di solidarietà straordinario.
L’Italia, come spiegato qui, ha adottato una tassa sugli extra profitti delle imprese energetiche molto discutibile e soprattutto molto lontana dall’impostazione europea. L’approccio italiano si differenzia infatti da quello europeo sotto molteplici aspetti:
- ambito di applicazione: la tassa europea esclude il comparto dell’energia elettrica, incluso invece nell’impostazione italiana;
- base imponibile: nel caso italiano si va a colpire la differenza tra i saldi IVA conseguiti nel periodo ottobre 2021-aprile 2022 rispetto allo stesso periodo nel 2020-2021, mentre nella versione europea si guarda ai soli utili imponibili;
- aliquota di tassazione: 25% in Italia, 33% nella formulazione europea. Tuttavia, la base imponibile scelta dalla Commissione Europea rende l’intervento molto più blando rispetto a quello italiano. Questo, pur in presenza di una aliquota più elevata;
- estensione temporale della misura: retroattiva quella italiana, relativa al solo anno fiscale 2022 quella europea.
Si pongono quindi diverse domande alla luce delle diverse impostazioni italiane ed europee. Intanto, la Commissione Europea sembra avere evidenza che eventuali extra profitti siano da ricercarsi nei soli settori e segmenti indicati nel Regolamento e non anche, come in Italia, nel comparto elettrico. Sarà possibile avere contezza dell’evidenza che motiva tale diversità di approccio? E, quindi, dell’evidenza che effettivamente vi sono profitti extra, conseguiti per effetto di comportamenti “opportunistici” e, quindi, da perseguire? Ma soprattutto che, nel comparto elettrico, non vi è traccia di tali extra guadagni?
Inoltre, cambiando le modalità di applicazione della misura sarà diverso il gettito che ne deriverà. Quali scostamenti potranno aversi rispetto al gettito atteso dalla misura italiana, dall’applicazione dell’impostazione europea?
In ultimo: le imprese che saranno escluse dalla nuova versione della tassa, essenzialmente quelle del settore elettrico, saranno legittimate a riavere indietro quanto già versato a fronte di una misura che la Commissione ha implicitamente riconosciuto essere sbagliata?
Tra tutte queste domande restano solo poche certezze. Che la tassa italiana sugli extra profitti delle imprese energetiche è stata un gran pasticcio che ha reso ancora più fragile un quadro normativo già tradizionalmente incerto, ha aumentato la sfiducia di imprese e famiglie nel mercato, e ha restituito l’idea di una Europa tutt’altro che coesa.