Si parla molto di nucleare da settimane, soprattutto per la proposta di inserirlo nella tassonomia verde dell’Europa. Il 9 novembre ne abbiamo parlato al primo appuntamento del nuovo ciclo dei nostri Talk FOR energy. Al talk, dal titolo “ITER e i progetti di fusione nucleare”, hanno partecipato Paola Batistoni, Francesca Ferrazza e Sergio Orlandi, con la moderazione di Umberto Minopoli (è possibile rivederlo qui integralmente).
Umberto Minopoli, Presidente di Associazione Italiana Nucleare, ha introdotto con una panoramica sul dibattito attuale. La fusione nucleare «sta irrompendo nel dibattito energetico e legato alle politiche climatiche», dopo che per molti anni per il grande pubblico è stata poco più che “science fiction”. «I prossimi cinquant’anni vedranno l’entrata in campo di impianti di fusione collegati alla rete elettrica». L’obiettivo Net Zero ha aumentato la necessità della fusione nucleare: Net Zero significa anche forte bisogno di elettrificazione e aumento dei consumi elettrici «porta la necessità di avere a disposizione una fonte di energia con le caratteristiche che per lunghi decenni hanno assicurato le fonti fossili, in concomitanza con altre fonti energetiche anche di tipo pulito».
Che cos’è e come funziona la fusione nucleare
La fusione nucleare è «una reazione tra nuclei leggeri che, in determinate condizioni, si fondono in un nucleo più pesante con conseguente rilascio di energia», ha spiegato Paola Batistoni, Responsabile Sviluppo e Promozione della Fusione in ENEA. La fusione si verifica nel sole e nelle stelle in modo naturale, dove «l’idrogeno è compresso ad alta densità e temperatura, sotto azione della propria forza gravitazionale». Queste condizioni non sono riproducibili in laboratorio, dove servono meccanismi sostitutivi.
«Tutti i paesi avanzati hanno programmi di sviluppo dell’energia da fusione perché la fusione ha dei vantaggi e delle caratteristiche estremamente favorevoli», ha rilevato Batistoni. Il combustibile da utilizzare, deuterio e litio, è virtualmente illimitato, uniformemente distribuito, sicuro, non produce gas climalteranti e scorie radioattive. I materiali subiscono danneggiamento dal bombardamento neutronico e andrebbero sostituiti nel giro di qualche anno, ma sarebbero materiali strutturali ad attivazione ridotta che non hanno la necessità di depositi permanenti. Per quanto riguarda la camera da vuoto e magneti, questi sono componenti “schermati” che subiscono minore bombardamento e non hanno bisogno di sostituzione. La radioattività, quindi, decadrebbe nel giro di cento, centocinquant’anni.
Il progetto ITER
Il primo esperimento a confinamento magnetico, uno degli approcci per ottenere la fusione, in cui «la potenza di fusione dovrebbe superare ampiamente quella iniettata nella camera sarà ITER, il reattore a fusione sperimentale in fase finale di costruzione a Cadrache, in Francia, nell’ambito di un accordo internazionale», ha spiegato Paola Batistoni.
ITER è già un reattore, e rappresenta «un’estrapolazione rispetto agli esperimenti, sufficientemente piccola da renderci confidenti nel raggiungimento degli obiettivi, ma al tempo stesso significativa per la dimostrazione dell’energia da fusione». Il prossimo step sarà il reattore dimostrativo (DEMO), e per realizzarlo l’Europa ha un piano di azione, ricerca e sviluppo e completare tutto ciò che è complementare a ITER.
Anche l’Italia ha dato un contributo significativo per la realizzazione di ITER, anche grazie alla collaborazione fra laboratori e industria. «Quello della ricerca sulla fusione in Italia è stato un caso di successo sia per il contributo scientifico tecnologico al programma sia per il trasferimento tecnologico, che ha avuto un impatto di crescita del sistema produttivo e anche in termini di ricadute economiche». Il DTT, Divertor Tokamak Test, progetto frutto del consorzio tra ENEA, ENI e altri istituti e università, ha avuto inizio a Frascati, ed è un’ottima opportunità di crescita e ricerca.
Network e ricerca
ENI è impegnata in un programma di decarbonizzazione, ha spiegato Francesca Ferrazza, Responsabile del programma fusione di ENI. Di recente, ENI si è impegnata in vari investimenti, fra cui uno spin-off di CFS, per l’uso di tecnologie nuove e magneti basati su super conduttori ad alta temperatura; con il MIT è stato avviato un programma per l’acquisizione di più conoscenze. Accanto al lavoro con CFS è attivo anche un programma di accelerazione con il MIT, per acquisire più conoscenze.
«ENI è stata la prima compagnia energetica a investire nella fusione», ha sottolineato Ferrazza. L’obiettivo di ENI è «creare il substrato necessario per arrivare davvero a un indirizzo industriale e commerciale dell’energia da fusione», pur consapevoli delle complessità del caso. La tabella di marcia del CFS ha avuto l’obiettivo del «funzionamento del primo magnete a dimensioni più o meno reali, basato su materiali superconduttori ad alte temperature, per il raggiungimento di un campo magnetico da 20 tesla», traguardo raggiunto ai primi di settembre. La fase successiva è il primo tokamak sperimentale per la dimostrazione che è possibile arrivare a energia netta positiva, per giungere infine alla prima centrale elettrica dimostrativa a fusione intorno al 2030.
Il DTT per ENI è un’iniziativa importante perché permette di mettere in campo le esperienze di ENI in ambito ingegneria e project management di progetti complessi. Sulla parte della ricerca, ENI e MIT hanno avviato una serie di progetti su materiali per i magneti, per i sali fusi e per il trizio. L’impegno di ENI dal punto di vista industriale ha bisogno di competenze esterne ed interne, senza dimenticare una parte di ricerca. Il network, l’ecosistema, le connessioni sono molto importanti.
L’importanza dell’integrazione
Sergio Orlandi, Head of Department – Plant Construction Department di ITER, pone l’attenzione sui nodi problematici di ITER. «È stato completato il sistema di distribuzione elettrica, il sistema criogenico, il sistema di raffreddamento sui due pozzi freddi». Fra le criticità, c’è il campo magnetico: il campo magnetico «si propaga in tutto l’impianto e genera dei campi magnetici statici, forze statiche, che vanno considerate nella progettazione di tutti i componenti». Il problema maggiore per ITER, spiega Orlandi, è l’integrazione, a livello meccanico, elettrico e scientifico, come per ogni impianto di tale complessità. «Ogni disciplina ha la sua ragione d’essere ma l’integrazione è quella che dovrebbe far funzionare la macchina come un unico armonico assolo».
Ci vediamo al prossimo appuntamento di talk FOR energy, martedì 16 novembre: “I nuovi reattori nucleari: idrogeno e integrazione delle reti rinnovabili”.