domenica, 04 Giugno 2023

Sul regime carcerario ex art. 41bis Ordinamento Penitenziario

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Diotima Pagano
Laureata in giurisprudenza. Fortemente convinta che il diritto sia (anche) fantasia, creatività, interpretazione e molto spesso filosofia. Amante della Vespe e della musica in vinile. Il suo motto è "...Things To Come..."

Commento a Corte di Cassazione – penale – sez. I – sentenza dell’8 ottobre 2021 n. 36707

In attesa della riforma sul c.d. ergastolo ostativo la Prima Sezione Penale della Cassazione riepiloga importanti principi in tema di “carcere duro” ex art. 41bis dell’Ordinamento Penitenziario.

A)Stante il suo carattere di rimedio generale a garanzia dei detenuti, è impugnabile mediante reclamo al tribunale di sorveglianza il rigetto, perfezionatosi a seguito di silenzio-rifiuto, della richiesta di revoca anticipata del provvedimento ministeriale di sottoposizione al regime di sorveglianza particolare, previsto dall’art. 41-bis Ord. pen.

B) Anche a seguito delle modifiche legislative introdotte dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, sussiste il diritto del detenuto sottoposto al regime differenziato di chiedere la revoca anticipata del provvedimento di sottoposizione alla misura ex art. 41-bis Ord. pen., alla luce dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 28 maggio 2010, n. 190: ne consegue che permane la facoltà di impugnare il provvedimento di diniego formatosi per effetto del silenzio- rifiuto del Ministro della Giustizia, al quale il detenuto si è rivolto, che deriva dai principi generali di tutela della sua condizione.

C) Notevolmente diversi sono i carichi probatori ove si tratti di assegnare un detenuto al regime speciale ex art. 41 bis cit. In questo caso, si afferma l’obbligo a carico della Amministrazione di indicare i positivi elementi che fondano il pericolo di collegamenti con l’associazione mafiosa di provenienza.

Per contro, ove sia richiesta la revoca anticipata, sia pure rigettata con le forme del silenzio – rifiuto, l’onere di dimostrare che le condizioni per la applicazione o la proroga sono venute meno incombe su chi, sottoposto al trattamento differenziato con provvedimento non impugnato o divenuto definitivo a seguito d’impugnazione, agisce per la rimozione del provvedimento.

Volendo inquadrare nelle sue coordinate generali il regime di detenzione stabilito dall’art. 41bis Ord. Penit., valga la sintesi estraibile dalla pronuncia della Cassazione Penale del 15 marzo 2019 n. 11597, incentrata sul regime dei colloqui, evidentemente, paradigma strategico per l’informazione sul trattamento penitenziario.

Per la Corte, l’art. 41-bis Ord. pen. attribuisce al Ministro della Giustizia il potere di sospendere “in tutto o in parte” l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti ed internati, in correlazione con una “pericolosità qualificata” degli stessi, senza che, tuttavia, tale norma demandi in toto alla competenza ministeriale i contenuti del trattamento applicabile ai detenuti portatori di una “pericolosità qualificata” e, soprattutto, senza che essa abbia dettato una regolamentazione “speciale” dell’istituto, che si sovrapponga totalmente a quella ordinaria.

In questa prospettiva, il contenuto del “regime detentivo speciale” risulta regolato dalla legge con previsioni operanti su un doppio livello.

Un primo livello, per così dire “generale”, caratterizzato dalla regola della proporzionalità, in virtù della quale sono ammesse solo restrizioni al regime ordinario che siano necessarie agli scopi di prevenzione cui la misura è finalizzata.

Il secondo livello di regole, invece, indica i concreti contenuti del regime, costituiti oltre che dalle previsioni del D.M., dalle specifiche disposizioni del regime differenziato, nonché dalle norme ordinamentali con queste ultime non assolutamente incompatibili. Ciò significa che in assenza di specifiche previsioni contenute nel D.M., anche per il detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., possono trovare applicazione le norme dell’ordinamento penitenziario non oggetto di sospensione; norme che concernono, in primo luogo, il diritto di accesso, visita dei Garanti, anche locali, e di “interlocuzione” con i detenuti e, a seguire, la materia dei colloqui.

Con riferimento ai colloqui cd. “riservati”, l’unica figura legittimata al loro espletamento, in virtù della già richiamata disciplina dettata dalla L. 9 novembre 2012, n. 195, art. 20 è il Garante nazionale (cfr. la Circ. sulla “Organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall’art. 41-bis O.P.”, che all’art. 16.6 stabilisce che tale organo, in quanto “Organismo di monitoraggio indipendente” (NPM) secondo la convenzione di New York del 18 dicembre 2002, “accede senza limitazione alcuna all’interno delle sezioni 41-bis incontrando detenuti ed internati e potendo svolgere con essi incontri riservati senza limiti di tempo”).

Viceversa, i colloqui ordinari, disciplinati dall’art. 18 Ord. pen., possono essere effettuati, secondo la regola generale stabilita da tale disposizione, da tutte le diverse tipologie di Garante, da quello nazionale a quelli locali. Fermo restando che il Garante nazionale, avendo la facoltà di effettuare i colloqui riservati, non avrà bisogno, tendenzialmente, di eseguire i colloqui ordinari, i quali, come appresso si dirà, sottostanno, in particolare per i detenuti sottoposti al regime più restrittivo, a significative limitazioni.

La circostanza che tutte le tipologie di Garanti, anche locali, possano effettuare i colloqui ex art. 18 Ord. pen. deriva dal principio di diritto secondo cui “ulteriori limitazioni, al di là di quelle previste, non siano possibili, salvo che derivino da un’assoluta incompatibilità della norma ordinamentale – di volta in volta considerata – con i contenuti normativi tipici del regime differenziato”.

Invero, l’art. 41-bis, comma 2 quater, lett. b) stabilisce un regime di particolare rigore in materia di colloqui, sia sul piano della quantità degli stessi, che dei soggetti ammessi alla relativa fruizione, che delle modalità di svolgimento, dovendo essi avvenire “in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti”, essere “videoregistrati” e sottoposti “a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente ai sensi del medesimo art. 11, comma 2”. Disposizioni, queste, che sono destinate ad applicarsi a ogni ipotesi di colloquio ai sensi dell’art. 18 Ord. pen., ivi compreso quello del Garante locale, stante il carattere generale della relativa previsione e le connesse esigenze di documentazione dei contatti con il mondo esterno, che in quanto contenuta in una norma primaria non è certamente suscettibile di disapplicazione.

Quanto, poi, alle ulteriori limitazioni, attinenti al numero e al regime autorizzatorio, una interpretazione sistematica della funzione del colloquio con il Garante non può non obliterarne gli elementi peculiari, che attengono al ruolo istituzionale del Garante, nazionale e locale, e alle esigenze di preservare alcuni tipi di legame con l’esterno, ancorchè essenzialmente riconducibili all’ambito delle relazioni familiari.

Sul punto, non sembra discutibile che il colloquio con il Garante debba essere necessariamente distinto, per la diversa funzione assolta, da quello con il familiare. E, tuttavia, esso non può nemmeno essere assoggettato, senza alcuna distinzione, al regime previsto per gli eccezionali colloqui con i terzi.

In proposito, va osservato, innanzitutto, come il “divieto” di colloqui con persone diverse dai congiunti e conviventi non possa considerarsi un divieto in senso proprio, dal momento che la stessa lett. b) dell’art. 41-bis, comma 2-quater dopo avere affermato, formalmente l’esistenza del divieto (“sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi”), in realtà stabilisce, subito dopo, la possibilità che, per gli imputati dopo la sentenza di condanna in primo grado, nonché per i condannati e gli internati, il direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, l’autorità giudiziaria che procede, consentano, in “casi eccezionali determinati volta per volta”, lo svolgimento di tale tipo di colloquio.

Dunque, mentre il colloquio con i familiari (rectius con i “congiunti e conviventi”) non può essere tendenzialmente impedito, in quanto riconducibile all’ambito dei diritti fondamentali del detenuto (salva l’ovvia possibilità di limitazioni per specifiche persone in presenza di comprovate esigenze di sicurezza), il colloquio con i “terzi” è sostanzialmente rimesso all’apprezzamento discrezionale dell’Organo competente, chiamato a vagliare la ragionevolezza dei motivi della richiesta di colloquio, peraltro in una cornice che ne sottolinea il carattere sostanzialmente episodico.

Nondimeno, nel caso del Garante locale, l’eccezionalità dell’ingresso di soggetti diversi dai familiari deve essere reso compatibile con la possibilità, per quell’Organo di controllo, di esercitare la sua attività istituzionale; e ciò senza detrimento per le esigenze connesse al mantenimento delle relazioni familiari. Ciò che, per un verso, significa che il colloquio con il Garante non potrà essere considerato alternativo a quello con i familiari e che in ogni caso, l’autorità competente all’autorizzazione, pur potendo negare il colloquio (atteso che la nuova disciplina dettata dall’art. 18 Ord. pen., che pure riconosce il diritto del detenuto al colloquio con il Garante, non si applica ai detenuti sottoposti al regime ex art. 41-bis Ord. pen., non potendo le modifiche introdotte dal D.L.vo n. 123 del 2018 innovare la disciplina dettata in materia di regime speciale secondo la chiara previsione della L.D. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 85), potrà farlo soltanto in presenza di specifiche e comprovate ragioni, di cui dovrà dare compiutamente conto del provvedimento di eventuale rigetto della richiesta.

Articolo a cura di Diotima Pagano

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