domenica, 04 Giugno 2023

Sono i messaggi a fare la differenza

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Raramente i media si sono occupati di comunicazione politica e persuasione così tanto come nelle ultime settimane. Lo scandalo Cambridge Analytica sta infatti occupando le prime pagine dei giornali, che accusano la società britannica di aver “rubato” i dati dei profili di più di 50 milioni di persone e di aver “manipolato” le menti degli elettori, influenzando il loro voto.

La realtà, pur mettendo in luce una disinvoltura inquietante nell’utilizzo di dati sensibili da parte di diversi soggetti (Facebook, lo psicologo Kogan e la stessa Cambridge Analytica), è ben diversa. Kogan infatti ha raccolto dati in modo lecito grazie a un’app da lui gestita e collegata con Facebook, e li ha poi – in questo caso illecitamente – condivisi con Cambridge Analytica, un’agenzia di data mining, specializzata nell’utilizzo di big data a fini strategici, famosa per aver lavorato alla campagna elettorale di Donald Trump.

Il principio di fondo, però, è simile a quello utilizzato da Obama nel 2008 e nel 2012 (e da molti altri candidati, non solo negli Stati Uniti): raccogliere dati sugli utenti per definire in modo preciso i loro profili, e declinare su di loro il messaggio più efficace per il target a cui appartengono. La quantità di dati a disposizione dello staff di Trump in campagna elettorale, grazie a Cambridge Analytica, è stata immensa: uno strumento potenzialmente importante. Importante, ma non decisivo: se Trump avesse avuto meno dati a disposizione non avrebbe necessariamente perso le elezioni.

Tradotto: no, non sono i dati e il microtargeting a vincere le elezioni, e no, non sono le profilazioni precise a spostare le intenzioni di voto di milioni di persone. Sono i messaggi a fare la differenza.

I dati, la definizione di micro-target e la profilazione degli elettori sono armi utili ed efficaci: se abbinate ad una adeguata ricerca qualitativa, aiutano a collegare ciascun segmento elettorale al tema più efficace da sviluppare per quel preciso profilo. Ma, in questo binomio estremamente potente, non è la profilazione ad essere decisiva: è il messaggio.

Un messaggio efficace e preciso è ciò che, più di tutto, può persuadere un elettore. La targetizzazione e la profilazione aiutano a potenziarlo maggiormente, a divulgarlo esclusivamente agli elettori su cui può avere maggiore influenza. Un ruolo dunque subalterno al messaggio forte: senza di questo, si possono anche possedere i dati dei profili dell’intera popolazione, ma la persuasione di fasce importanti dell’elettorato sarà per forza di cose inefficace e mai completa. Ed è questo focus che è completamente mancato nella narrazione mediatica che vedeva Cambridge Analytica come un’azienda detentrice di un potere occulto, capace di plagiare le menti e costringere gli elettori a votare un candidato anziché un altro.

La comunicazione, quella politica in particolare, è un abito su misura: un messaggio deve essere perfettamente coerente con la storia e i valori evocati da chi lo divulga. Corrisponde, in poche parole, alla risposta alle domande “Perché ti candidi?” e “Perché dovrei votare per te?”. E le risposte non sempre sono facili: l’ideazione, l’elaborazione e la declinazione di un messaggio sono arti complesse, che variano a seconda del protagonista e del pubblico a cui questo si rivolge.

Tra i tanti che si sono cimentati nell’elaborazione di regole (da Séguéla a Faucheux), quello che ha trovato la sintesi migliore per creare un messaggio efficace è stato James Carville, strategist americano tra i più noti, a capo della campagna di Clinton nel 1992. Carville individua tre pilastri su cui basare un messaggio corretto: semplicità, rilevanza, ripetizione.

Semplicità, perché l’elettore deve ricordarlo (vi ricordate il mantra berlusconiano “Meno tasse per tutti”?); rilevanza, perché non puoi convincere un elettore parlando di temi che non gli interessano e che non considera prioritari (come il Pd, che in campagna elettorale parla di vaccini e di scienza: un tema che molti di noi considerano importante, ma che evidentemente gli italiani non mettono al primo posto nella propria agenda); ripetizione (la reiterazione estrema degli slogan è fondamentale: provate ad ascoltare un comizio di Trump in campagna elettorale, e contate quante volte scandisce “Make America Great Again”). Le falle di Facebook nella protezione della privacy hanno colpito tutti, ma l’eco mediatica di questo caso ha avuto come conseguenza la creazione di falsi miti relativi all’opinione pubblica: Cambridge Analytica non persuade occultamente gli elettori, e Trump – per citare l’esempio più noto di leader affiancato da una società di data mining – non ha vinto grazie alla profilazione degli elettori.

Per vincere, bisogna essere coerenti, ispirare gli elettori. E – soprattutto – parlare di futuro.

 

di Giovanni Diamanti

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è sbagliato sostenere che Trump abbia vinto grazie al datamining di Cambridge Anlityca. I fattori che determinano un’elezione sono diversi

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