giovedì, 23 Marzo 2023

Siamo agli antipodi del governare

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Ma Giorgia Meloni è fit o unfit?

Una cara amica, protagonista rispettata dell’economia del turismo, mi sollecita con alcune considerazioni interessanti. La domanda è: “perché quando votiamo per un governatore di Regione siamo così legati, bene o male, al ‘risultato’ e invece a livello nazionale la discussione è estranea al merito?”

Quando parliamo di politica nazionale valutiamo sulla base della nostra insoddisfazione e siamo più “presi” dai bias indotti da un ecosistema ostile. Valutiamo un Presidente di Regione o un sindaco e ne consideriamo i risultati rispetto alle aspettative, la capacità di governare: se è stato bravo, affidabile, costruttivo, se ha saputo farsi amare non abbiamo problemi a confermarlo. Altrimenti si cambia. Certo, anche al costo di un salto nel buio, quando l’uscente è travolto da giudizio e pregiudizio. Resta il fatto che un circuito sano di ricambio difficilmente nega ad un bravo amministratore una seconda chance.

Nelle campagne nazionali riprendono piede i king (o queen) maker della chiacchiera, sono loro a mettere al centro del discorso pubblico (agenda setting, framing, eccetera) sondaggi, campagne mediatiche, usando ciò che vince nella guerra per l’attenzione: distruzione e disperazione. La complessità (ed imprevedibilità) del governo nazionale, l’instabilità innata nel “sistema” ci tiene più lontani possibile dalla prova dei fatti. Più assoggettati ad una agenda non di merito.

Andrebbero misurate le “curve di esposizione”, in salita e discesa, dei leader nazionali e comparate, per durata e risultati, con quanto avviene localmente. Vedremmo probabilmente che il “Fattore R”, come realtà, non paga in una campagna più legata alle nostre emozioni (rassegnazione compresa) che ai nostri interessi. Per questo l’investimento in credibilità politica e concretezza diverge radicalmente tra Locale e Nazionale (e si mostra ancor più su scala internazionale). Lo dimostra anche il ricorso a governi di “unità nazionale”, quelli cosiddetti tecnici, per risolvere quel che schieramenti, alleanze, movimenti, partiti e persino personalità decisioniste non riescono a fare per quella legge di subalternità della leadership alle tendenze “populiste”.

Nasce da qui anche nuovismo astratto che caratterizza contese elettorali brucianti, “carica” di speranze (ed illusioni) le figure oppositive, ma non aiuta a decidere quasi mai per il meglio, né chi tenerci, né chi prenderci. Il risultato allora, non dipende solo dagli errori degli altri, ma dai nostri: elettori, lettori, spettatori, media, stakeholder più o meno informati. Un elenco di governanti, esaltati e poi cacciati dai rassegnati reclamanti. Può chiarire questa deriva, forse, il Primo Berlusconi, Monti, il primo Prodi, Renzi, ma soprattutto Draghi.

Conte al contrario è rimasto in equilibrio grazie all’ecosistema delle frottole, con due maggioranze opposte, ed oggi è un distruttore che paga, pretende. Salvini ha fatto solo campagne elettorali e crisi, al contrario dei governatori che non lo stimano, ma vengono confermati, e oggi si ri-consegna ad una trappoletta 5 stelle anti-Draghi con scappellamento a destra per non essere giudicato in una gara di sovranismo e finisce a traino della Meloni. Il personaggio Meloni, grazie alle sue abilità, e non all’ur-fascismo, in cui forse non è nemmeno prima, è curiosamente dipinta come “nuova” perché donna, determinata, prudente, aggressiva anche nello schieramento di centro destra. Una “nuova” al potere per anni, che naviga bene tra i “rassegnati reclamanti” dalla memoria breve col “prima noi, poi loro”, “prima la legge Italiana poi quella europea” (è una ital-exit). Se c’è un problema? La risposta è: in galera, come un catenaccio e, per il resto, Dio, Patria e Famiglia. Emozioni, impressioni, mai risultati.

Anche a volerne parlare, vi sembra il modo di decidere cosa mai di “vecchio” o “nuovo” sia utile al Paese? Nessun partito ahimè è da meno, tanto più con questo sistema. Programmi scritti male, equivoci, pedestri, patti, desistenze. Performance di governo? Non pervenute. Capacità di scegliere gruppi dirigenti? Da Michetti alla Lombardi. Costruzione di un ruolo per l’Italia in Europa e nel mondo. Boh?

Decidiamo evitando di entrare nel merito perché dovremmo criticare noi stessi per quelli che abbiamo eletto, rieletto, o sopportato, per tante improbabili ragioni. Salvo sorprese e qualche sprazzo di coraggio (che in genere non piace).

Articolo a cura di Massimo Micucci, Direttore Merco Italia

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