Uno spettro si aggira per l’Europa: quello dei semiconduttori. Non me ne voglia il buon Marx ma è proprio così che vedo la cosiddetta crisi del semiconduttori: un qualcosa di sotterraneo, a tratti incorporeo, che si aggira – a dir la verità – in tutto il mondo.
Ma questi semiconduttori…
Ammetto senza problemi di non avere idea di come funzionino la maggior parte degli oggetti che uso. Il PC che adopero per lavorare, ad esempio. Il mio smartphone. La stessa tastiera su cui scrivo – insomma, a me interessa che funzionino, del come se ne può occupare chi ha più competenze di me.
Si legge che «un semiconduttore è un materiale che appartiene alla categoria dei semimetalli e che vanta una resistività superiore a quella dei conduttori e inferiore a quella degli isolanti. I semiconduttori sono alla base di tutti i dispositivi elettronici che utilizziamo nella quotidianità poiché è con essi che otteniamo i transistor che a loro volta compongono i chip». Meno male che c’è Internet!
…che cosa sono?
Un po’ come quando si perde qualcosa che prima era scontata e se ne sente improvvisamente la mancanza, allo stesso modo i semiconduttori sono diventati protagonisti del dibattito mondiale quando i prodotti che ne derivano hanno cominciato a scarseggiare. La questione è un po’ complessa e, sebbene alcune narrazioni semplicistiche attribuiscano il problema (solo) ai delicati rapporti USA-Cina e alla pandemia globale, ci sono ulteriori considerazioni meno scontate da fare.
Innanzitutto, produrre un chip richiede circa tre mesi di lavoro, macchinari da molti milioni di dollari e altissime capacità tecniche. Vien da sé che non molte aziende al mondo dispongono del know how e delle risorse economiche per affrontare questo tipo di produzione.
Un mondo di chip e semiconduttori
Ricordate quando Trump si mise a bannare determinate aziende cinesi? Ecco, le aziende americane dovettero rinunciare ad acquistare i chip prodotti dal Dragone i cui depositi, nel contempo, si sono andati a riempire di pezzi invenduti. Poi c’è stata la pandemia che ha portato a due scenari. Da un lato, l’aumento della vendita di device quali smartphone, tablet, PC – tutto in nome dello Smart Working. Dall’altro lato, però, ad un aumento della domanda l’offerta non è potuta crescere in maniera direttamente proporzionale perché, come abbiamo visto, produrre determinati componenti richiede tempo, soldi, manodopera e attrezzature sofisticate. Senza contare che si è preferito concentrarsi sul trasporto di attrezzature sanitarie e (ora) di vaccini.
In questo discorso va ad inserirsi il settore dell’automotive che, producendo veicoli sempre più sofisticati (ogni automobile, oramai, necessita di oltre 3000 componenti che si basano sui semiconduttori), ha cominciato a fagocitare il mercato dei semiconduttori e dei chip, indispensabili per le componenti elettroniche delle auto.
Non solo Trump e Covid
Dare tutte le colpe alla politica estera di Trump e alla pandemia globale sarebbe frutto, come abbiamo anticipato, di una visione miope. Sebbene ai più fosse ignoto, esiste da ben prima della pandemia una molteplicità di scontri a livello internazionale circa i materiali semiconduttori.
Se già prima le grandi multinazionali si scontravano a colpi di guerre economiche e manovre atte ad accaparrarsi un vantaggio rispetto ai competitor, è evidente che il Covid e le molte difficoltà da questo causate non hanno migliorato le cose. Il discorso, nella sua complessità, è molto semplice.
E ora?
La rivoluzione digitale ha portato, nel corso degli anni, ad un incremento dell’utilizzo di dispositivi elettronici che, col passare del tempo, sono diventati sempre più complessi. Ma, nonostante la tecnologia in tal senso faccia passi da gigante, lo stesso non si può dire per la produzione di determinati componenti che, infatti, rimane sempre vincolata a logiche difficili da accelerare.
Secondo Carlos Tavares, CEO di Stellantis, la crisi dei semiconduttori si protrarrà fino al 2022. Ma – l’abbiamo visto – i ban di Trump prima e la pandemia poi hanno solo accelerato un processo già in atto. Ma non solo automotive o settori come la telefonia: anche il colosso videoludico Sony ha avuto e sta avendo grossi problemi con la sua nuova PlayStation 5, praticamente ancora introvabile se non a prezzi folli (chi ha detto che i bagarini lavorano solo allo stadio?), proprio a causa della mancanza di determinati componenti legati ai semiconduttori.
Un nuovo equilibrio mondiale
Non credo che non sia stato messo in conto un problema legato ai semiconduttori, in termini di approvvigionamento e produzione, quando l’elettronica ha cominciato ad essere massicciamente impiegata in molti settori diversi.
Il problema, come sempre, è stato posporre la questione nella speranza di riuscire a trovare in tempo una soluzione. Come in molte cose, la pandemia ha mostrato tutta la fragilità di un equilibrio mondiale che deve essere necessariamente ripensato – e non vedo momento migliore per farlo, dati gli ingenti investimenti nel campo della digitalizzazione che si prospettano. Quel che è certo è che le attuali soluzioni non sono capaci di affrontare un futuro sempre più chip-centrico. Dalle auto alle console, occorrono nuove strategie per evitare che la crisi dei semiconduttori diventi endemica.