Code chilometriche ai distributori di benzina e negli aeroporti per la penuria di carburante: questa è la situazione che sta vivendo il Regno Unito nelle ultime settimane. Il problema però – attenzione – non è l’assenza di carburante, ma la carenza di camionisti.
Tutto è cominciato la settimana scorsa, quando British Petroleum, una delle principali aziende di petrolio e gas britannica, annuncia di dover razionare i rifornimenti destinati alle stazioni di servizio a causa di difficoltà logistiche dovute, appunto, alla mancanza di camionisti. Non ci sono conducenti sufficienti per far arrivare la benzina necessaria dove previsto. L’annuncio, come ogni annuncio le cui conseguenze sono imprevedibili, ha generato nelle persone il timore di restare senza benzina, e di conseguenza, la presa d’assalto dei distributori. Si è entrati così in un circolo vizioso: le stazioni di servizio esauriscono le scorte più velocemente del previsto e vengono rifornite molto più lentamente, o quasi per niente. Il prezzo della benzina sale.
Corsa ai distributori
Il Governo di Boris Johnson è intervenuto invitando gli inglesi a non accaparrarsi la benzina e ad evitare di creare ingorghi, tranquillizzandoli sul fatto che non ci sarebbe stata penuria di carburante; senza però particolare successo.
E così sta colpendo anche i distributori di benzina la crisi della catena di approvvigionamento del Regno Unito, che finora si era concentrata “solo” su supermercati e ristoranti. Secondo l’Associazione degli autotrasportatori britannici (Road Haulage Association), a causa della Brexit, delle nuove regole sull’immigrazione e della pandemia, mancherebbero 100mila conducenti di mezzi pesanti rispetto al fabbisogno del Paese.
Una soluzione povera di consensi
La risposta alla penuria di camionisti è semplice: dopo la chiusura delle frontiere, molti conducenti europei hanno deciso di tornare nei loro paesi d’origine a causa dell’impatto sul loro reddito dell’aumento dei controlli e della burocrazia. Se inizialmente il Governo ha invitato le imprese a formare personale britannico e a non continuare ad affidarsi a camionisti stranieri, adesso BoJo sta cercando di rimediare. Oltre alle soluzioni Made in UK, come l’addestramento di autisti di navi cisterna militari perché imparino come rifornire benzina alle pompe o le facilitazioni per i conducenti di autocarri nel prendere e mantenere la patente, che però non bastano, il Governo offrirà visti temporanei a 5mila camionisti stranieri fino a Natale. Tra l’altro, il piano di Boris Johnson probabilmente non riguarderà solo i camionisti, ma verrà ampliato ad altri settori.
Forse anche gli inglesi più euroscettici cominciano a vedere qualche vantaggio dalla comunicazione e collaborazione tra Paesi. Ma non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Marco Digioia, capo dell’Associazione europea degli autotrasportatori, che rappresenta più di 200.000 aziende di autotrasporti in tutto il continente, ha dichiarato all’Observer: «Non sono sicuro di quanti vorrebbero andare nel Regno Unito (…) Invitare i conducenti europei a tornare nel Regno Unito quando devono anche affrontare la realtà dei controlli doganali e alle frontiere, tutte le incertezze della Brexit… Dobbiamo essere realistici». Inoltre, ha affermato che gli stipendi dei conducenti europei sono generalmente più alti di quelli britannici e che le nuove norme dell’Ue sulle condizioni di lavoro sono migliori.
Brexit: una Sovereignty che vale poco
È evidente che la Brexit ha cominciato e continuerà a dimostrare i suoi limiti: il Regno Unito non ha alcuna capacità di sopperire alle infrastrutture europee. Larry & Paul, due comici inglesi, rappresentano bene lo scambio targato UK: più sovranità su un piccolo Paese in cambio di continue difficoltà organizzative e di approvvigionamento, destinate ad aggravarsi con la spaccatura del Regno, inevitabile quando l’Ue diventerà indiscutibilmente più attrattiva anche agli occhi degli inglesi.