Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, in Ucraina si tenne – il 1° dicembre – il referendum in cui il 90% dei votanti scelse l’indipendenza dall’ex URSS. Qualche giorno dopo, i leader delle 3 repubbliche slave (Russia, Ucraina e Bielorussia) si incontrarono per firmare l’accordo di Minsk, che sostituì l’Unione con la Comunità degli Stati Indipendenti. Lo scopo era costituire una più limitata forma di associazione tra i nuovi Stati, appunto, indipendenti.
La Russia, in buona sostanza, voleva mantenere un certo controllo politico ed economico sugli Stati ex membri dell’Unione Sovietica. E questo in contrapposizione (tra le altre cose) alla Nato, a cui l’Occidente aveva dato vita soprattutto per tutelarsi nei confronti dell’URSS, uscita vincitrice dalla Seconda Guerra Mondiale.
È mai finita la Guerra Fredda?
Nonostante si ritenga che la Guerra Fredda sia finita con la caduta del Muro di Berlino e lo scioglimento dell’URSS, i rapporti tra la Russia e l’Occidente (in primis gli USA) non sono mai stati del tutto distesi e sereni. Una sorta di rivalità, insomma, mai del tutto superata.
Proprio nel 1990, quando venne permesso a Helmut Kohl di riunificare la Germania, il segretario di Stato americano James Baker promise a Gorbaciov che, se l’Urss avesse accettato la riunificazione tedesca, la Nato non avrebbe inglobato gli “ex paesi satellite” di Mosca. L’impegno fu poi nuovamente garantito nel 1991 dal premier britannico John Mayor, in un dialogo con Dmitrij Jazov, ministro della Difesa sovietico.
Benché questi fossero gli accordi, sul Trattato di riunificazione non era esattamente scritto così. D’altronde, la diplomazia è fatta anche, o soprattutto, di ciò che non è scritto.
La responsabilità dell’Occidente
Negli anni successivi, la Nato si è espansa a est, fino ad arrivare, oggi, alla possibilità di accogliere l’Ucraina, storico alleato russo nonché paese confinante. La disapprovazione di Putin è evidente: la Russia si sta preparando ad un possibile attacco e ha anche minacciato di posizionare missili nucleari a Cuba, vicino alle coste USA. La Nato, come organizzazione, si appella al diritto di ogni Paese di decidere liberamente se aderire o meno all’alleanza. Ma Biden e Stoltenberg devono prestare attenzione perché la corda, già tesa, rischia di spezzarsi definitivamente.
Già da prima che venisse eletto Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha più volte denunciato l’assalto russo alle fondamenta della democrazia occidentale. Il Presidente ha sottolineato che la sua politica verso Mosca si sarebbe basata sull’uso di sanzioni, l’espansione e il potenziamento della Nato e la costruzione di un fronte democratico internazionale che possa contrastare vecchi e nuovi autoritarismi. Negli anni dell’amministrazione Trump, Biden ha appoggiato la decisione dell’ex Presidente di inviare armi all’Ucraina, si è espresso a favore dell’ingresso di Georgia e Ucraina nell’Alleanza Atlantica e si è opposto al ritorno di Mosca nel G7.
Partendo da queste premesse, una volta alla Casa Bianca, Biden ha dato il via alla sua politica antirussa. Facendo il punto sulla crisi ai confini tra Russia e Ucraina con i leader di Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria, Biden ha ribadito che gli Stati Uniti saranno sempre al loro fianco di fronte alla minaccia di Mosca: «Vi difenderemo (…) rispetteremo il nostro sacro impegno verso l’articolo 5 dell’Alleanza Atlantica», quello che prevede la reciproca difesa. L’obiettivo è una posizione della Nato “unita, pronta e risoluta” per la difesa collettiva di tutti gli alleati.
Ad esacerbare la provocazione, le dichiarazioni del Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg: «l’adesione dell’Ucraina nella Nato sarà decisa dai 30 paesi alleati e dalla stessa Ucraina. Non possiamo accettare che la Russia possa controllare quello che fanno gli altri paesi e dunque la Russia non ha alcuna parola in merito a questo».
E pur non giustificando le reazioni di Putin e le possibili ritorsioni sul popolo ucraino, è facile comprendere come tutte le mosse del Presidente russo siano da intendersi come diretta (ma non esclusiva) conseguenza di determinate dichiarazioni o azioni. Ed è qui che sorge spontanea la questione riguardo alla necessità di rileggere un’organizzazione militare nata per contrastare la Russia. Trovare vie di collaborazione, di dialogo per attenuare i motivi di discordia e aumentare quelli di condivisione potrebbe essere la soluzione da ricercare, in un’epoca in cui ciò che avviene in una parte del mondo si ripercuote direttamente sul resto del globo.
Il ruolo dell’Unione Europea
Qualcuno dice che l’UE è poco protagonista. In effetti, facciamo tutti fatica ad associare l’Unione Europea a una persona (esattamente come è facile associare gli USA al Presidente), dal momento che il responsabile della politica estera, Josep Borrell, ha sicuramente scelto di tenere un profilo molto più basso rispetto ai suoi predecessori. È nel contempo vero che gli uffici dell’Alto Rappresentante per la politica estera stanno cercando di evitare dichiarazioni che potrebbero scuotere equilibri già molto precari, con il fine dichiarato di trovare una finestra di dialogo con Mosca. Resta da vedere se Bruxelles avrà la forza di imporre ai due contendenti (Stati Uniti e Russia) un passo indietro o di lato, ma gli interessi in gioco impongono questo ruolo, che è nella natura dell’Unione, anche se sarà sempre faticoso svolgerlo, senza avere qualche freccia in più all’arco. Sembra difficile svolgere un ruolo di mediazione privi degli strumenti adeguati.