sabato, 10 Giugno 2023

Robo-Apocalisse? Non durante la nostra esistenza (di J. Bradford Delong)

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BERKELEY – L’imminente “ascesa dei robot” minaccerà ogni impiego umano? L’analisi più completa su questa domanda può essere trovata in un articolo del 2015 di David H. Author, un economista del MIT, dal titolo “Perché rimangono così tanti lavori?”, che valuta il problema nel contesto del Paradosso di Polanyi.

Poiché “possiamo sapere più di quello che possiamo dire”, il filosofo del XX secolo Michael Polanyi osservò che non dovremmo assumere che la tecnologia possa replicare la funzione stessa della conoscenza umana. Il fatto che un computer possa sapere tutto su una macchina non significa che possa guidarloQuesta distinzione tra conoscenza tacita e informazione conduce direttamente alla domanda su cosa gli esseri umani faranno per produrre valore economico in futuro. Storicamente, i compiti svolti dagli essere umani rientrano in dieci ampie categorie.

Il primo, e il più basilare, è l’uso del proprio corpo per muovere oggetti fisici, seguito dall’uso di occhi e dita per creare beni materiali distinti. Nella terza categoria rientra l’alimentare i processi di produzione con materiali intermedi – ovvero, agendo come robot umano – a cui è seguita l’effettiva guida delle operazioni di una macchina (servendo di fatto come un microprocessore umano). Nella quinta e sesta categoria, l’individuo si è trasformato da microprocessore a software, eseguendo attività di contabilità e controllo o facilitando la comunicazione e lo scambio di informazioni. Nella settima categoria, l’uomo ha cominciato a scrivere direttamente il software, traducendo i compiti in codice. Nell’ottava categoria, l’individuo fornisce una connessione umana, mentre nella nona funge da animatore, manager o arbitro per altri esseri umani. Infine, nella decima categoria, si pensa in modo critico a problemi complessi e si escogitano nuove invenzioni o soluzioni ad essi.
Negli ultimi 6000 anni, i compiti della prima categoria sono gradualmente passati dagli esseri umani alle bestie da soma e, in seguito, alle macchine. Negli ultimi 300 anni, lo stesso è accaduto con i compiti della seconda categoria, che sono stati eseguiti in misura crescente dalle macchine. In entrambi i casi, i lavori appartenenti alle categorie da tre a sei – che aumentavano il potere crescente delle macchine – sono diventati molto più diffusi e i corrispondenti salari sono enormemente aumentati.

Ma da allora abbiamo sviluppato macchine che eseguono i compiti compresi nelle categorie tre e quattro (in cui ci comportiamo come robot e microprocessori) meglio degli esseri umani, il che spiega il declino della produzione come percentuale dell’occupazione totale nelle economie avanzate nelle ultime due generazioni, anche se la sua produttività è aumentata. Questa tendenza, unita all’eccessivo zelo anti-inflazionistico dei responsabili delle politiche monetarie, è un fattore che ha contribuito in maniera determinante al recente aumento del neofascismo negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali.
Peggio ancora, abbiamo raggiunto il punto in cui i robot sono anche migliori degli umani nell’eseguire i compiti “software” nelle categorie cinque e sei, in particolare per quanto riguarda la gestione dei flussi di informazione e, va detto, di disinformazione. Tuttavia, nelle prossime generazioni questo processo di sviluppo tecnologico sarà completato, lasciando solo quattro delle suddette categorie agli esseri umani: pensare in modo critico, supervisionare gli altri esseri umani, fornire una connessione umana e tradurre i capricci umani in un linguaggio che le macchine possono comprendere.Il problema è che pochissimi di noi possiedono il talento per produrre un valore economico genuino con la propria creatività. I ricchi non possono assumere un numero illimitato di assistenti personali. E molti animatori, amministratori e risolutori di controversie sono già superflui. Questo ci lascia con la categoria otto: mentre i mezzi di sussistenza sono legati all’occupazione retribuita, le prospettive di mantenere una società della classe media dipenderanno da un’immensa domanda di connessione umana.

Qui il paradosso di Polanyi ci dà motivo di speranza. Il compito di fornire una “connessione umana” non è solo intrinsecamente emotivo e psicologico, ma richiede anche una conoscenza tacita di circostanze sociali e culturali impossibili da codificare in comandi concreti e di routine per l’esecuzione su un computer. Inoltre, ogni progresso tecnologico crea nuovi domini in cui la conoscenza tacita è importante, anche quando si tratta di interagire con le nuove tecnologie stesse. Come osserva Autor, anche se i produttori di automobili “impiegano robot industriali per installare i parabrezza … il settore post vendita delle parti di ricambio del parabrezza impiegano tecnici, non robot”. Il fatto è che “rimuovere un parabrezza rotto, preparare il telaio per un nuovo ricambio e montare il pezzo richiede più adattabilità in tempo reale di quanto qualsiasi robot contemporaneo possa ottenere in maniera cost-effective”. In altre parole, l’automazione dipende da condizioni completamente controllate e gli esseri umani non otterranno mai il controllo completo dell’intero ambiente.

Alcuni potrebbero obiettare che le applicazioni di intelligenza artificiale potrebbero sviluppare la capacità di assorbire “conoscenze tacite”. Ma anche se gli algoritmi di apprendimento automatico potessero dirci perché hanno preso certe decisioni, lavoreranno sempre in contesti situazionali “controllati”. L’ampia gamma di condizioni specifiche di cui hanno bisogno per funzionare correttamente li rende deboli e precari, soprattutto se confrontati con la grande adattabilità degli esseri umani. Senza una sfera pubblica adeguatamente funzionante, perché preoccuparsi di discutere di economia in primo luogo? Per ora, dovremmo preoccuparci meno della disoccupazione tecnologica e più del ruolo della tecnologia nella diffusione della disinformazione. Dopo tutto, senza una sfera pubblica che funzioni correttamente, perché preoccuparsi di discutere di economia?

Traduzione di Matteo Arlacchi

Articolo originale: https://www.project-syndicate.org/commentary/rise-of-robots-social-work-by-j-bradford-delong-2019-05

[dt_quote] Il compito di fornire una “connessione umana” non è solo intrinsecamente emotivo e psicologico, ma richiede anche una conoscenza tacita di circostanze sociali e culturali impossibili da codificare in comandi concreti e di routine per l’esecuzione su un computer. [/dt_quote]

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