domenica, 24 Settembre 2023

Riaccendiamo una luce sull’Afghanistan: il caso Bitcoin

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Antonio Somma
Laureato in fisica all'Università Federico II, diplomato in pianoforte e in composizione al Conservatorio di Napoli, sua prima e ultima città, scrive poca musica, suona un po' di più, studia di tutto da sempre. Orgoglioso esponente della generazione Erasmus, dal 2020 dottorando in acustica musicale e musicologia alla Sorbona di Parigi.

A meno di due mesi dalla precipitosa ritirata delle forze NATO dall’Afghanistan e la presa di potere dei talebani, la copertura mediatica su quello che sta succedendo in Afghanistan è drammaticamente calata. Non c’è né da stupirsi né da cercare il colpevole. La coperta dell’informazione è corta e, per quanto possa sembrare crudele, dobbiamo riconoscere che è fatta per coprire le priorità dei lettori nel dibattito pubblico. Se il nostro margine di manovra per migliorare le condizioni di vita degli afghani – e soprattutto delle afghane – si è assottigliato con la fine della sua fragile democrazia e la presa del potere di un governo ostile, c’è da aspettarsi che anche l’interesse del grande pubblico sia scemato. Resta solo un – prezioso – lumino acceso, a ricordarci di quando in quando che non tutto nel mondo sta andando come dovrebbe.

Sogni infranti

Quel lumino accende i riflettori sul conflitto tra l’Afghanistan di oggi e quello di vent’anni fa. L’Afghanistan di oggi è un Afghanistan in cui le donne si sono progressivamente ritagliate uno spazio nella società, a cui è stato finalmente riconosciuto il diritto a istruirsi e ad essere indipendenti. L’Afghanistan di vent’anni fa era stato trascinato all’integralismo di una sharia intransigente dalla frangia più radicale dei talebani, quella che oggi sembra avere il controllo, a dispetto delle iniziali promesse di aperture. Quel lumino ci dice che il vecchio Afghanistan vuole ridurre al silenzio il nuovo, forte di strumenti di coercizione sociale, economica e fisica tipici dei governi dispotici.

Chi può, scappa – abbiamo tutti davanti agli occhi le scene di agosto dall’aeroporto di Kabul. Molti di coloro che probabilmente non avevano mai conosciuto l’Afghanistan dei talebani portano via con sé un pezzettino di quello che l’Afghanistan avrebbe potuto essere. Fino al 15 agosto 2021, l’Afghanistan era un paese ancora molto povero, il cui governo, fragile e corruttibile, rifletteva la cultura di una società disgregata. Un paese in cui la libertà di iniziativa e quella di informarsi e istruirsi non era però ostacolata con la violenza. La storia di Muhammad Ali, raccontata da Reuters, ci interessa particolarmente perché offre un ritratto di quel nuovo Afghanistan, così come sognato dai giovani afghani. Un Afghanistan in cui faceva capolino internet con i suoi nuovi servizi, tra di essi i social network e – ci stiamo arrivando – le criptovalute.

Prima della rovinosa fuga alla volta della Turchia, Ali aveva studiato informatica in Afghanistan, aveva un canale YouTube e sognava di costruire un’azienda dedicata al mining di criptovalute – l’attività di quegli enormi supercomputer che concorrono al caricamento delle transazioni sulla blockchain, ricevendo in premio criptomoneta fresca di “stampa”. La diaspora delle cripto-miniere in fuga dalla Cina avrebbe effettivamente reso l’occasione ghiotta, ma la minaccia di un’instabilità insostenibile nel suo paese ha costretto l’aspirante imprenditore alla fuga. La storia di Muhammad Ali ci dice qualcosa sull’avvento di una comunità cripto in un paese, l’Afghanistan, ancora strettamente legato al contante, con regioni montagnose in cui l’accesso a uno sportello bancomat è spesso improponibile. Un paese recentemente minacciato dall’inflazione e dalla decapitazione dei quadri finanziari locali, con annessa chiusura frettolosa di filiali e di sportelli bancari.

Afghanistan e Bitcoin: un “insospettabile” duo

Come si aspetterebbe un occidentale ingenuo (e che non ha letto la nostra rubrica su Bitcoin), l’Afghanistan figurava, nel 2020, tra quei paesi con un punteggio sotto soglia zero nella classifica del “global criptocurrency adoption index”. Un paese in cui gli sparuti possessori di criptovalute, se mai ce ne sono, si rendono irreperibili con l’uso di sistemi VPN. Esiste però una sorprendente concomitanza temporale tra l’avvento della minaccia di un crollo dell’apparato statale, fattasi sempre più realistica dopo gli accordi di Doha del febbraio 2020, e il capovolgimento di questa fotografia di un Afghanista no-cripto. L’edizione 2021 dello stesso indicatore, che stima il volume di adozione di servizi legati alle criptovalute, rapportato al PIL pro capite di ciascuno dei 154 Paesi esaminati, fa segnare infatti all’Afghanistan un impensabile ventesimo posto in classifica. E se una generale passione cripto sta pervadendo anche quelle parti di mondo risparmiate da simili stravolgimenti, è un dato che merita una riflessione.

La classifica vede in testa soprattutto paesi in via di sviluppo, il che dimostra che l’investimento, di risorse personali e finanziarie, è relativamente superiore in paesi con una popolazione generalmente molto povera o dove la crescita economica moltiplica le disuguaglianze sociali. Un dato ancor più sorprendente: dei primi venti paesi l’Afghanistan ha il PIL pro capite più basso. Se si considera esclusivamente l’attività di scambio di criptovaluta in peer-to-peer, senza cioè intermediazione di servizi di exchange centralizzati, l’Afghanistan si posiziona al settimo posto. Questo dimostrerebbe comme l’Afghanistan è uno dei paesi del mondo in cui la criptovaluta è percepita come un mezzo per scambiare valore senza dover ricorrere a terzi – nello spirito originario di bitcoin. La scommessa sulle criptovalute in questo paese assume così caratteri estremi. Questo fenomeno può essere raccontato con le storie di vita di questi scommettitori. Un approfondimento di CNBC contiene molte di queste storie, che dimostrano come il criptowallet sia una recente scoperta tra coloro che tentavano di mettere i propri risparmi al riparo dalla catastrofe incombente.

Cosa possiamo imparare dall’Afghanistan

Il germinare di una presunta economia cripto in Afghanistan, indipendente dalla rovina che la circonda, è un grosso insegnamento su quale potrebbe essere il futuro – se non già il presente – delle criptovalute. Due sono, in questo caso, le qualità che le rendono più accattivanti delle soluzioni fiat, le strutture finanziarie tradizionali. Prima di tutto, l’inflazione dei singoli stati non ha effetto sulle criptovalute, poiché il loro valore è dettato dal mercato cripto globale, generalmente molto più resiliente. Questo fa sì che i patrimoni non siano erosi dall’inflazione, neanche nei casi estremi di collasso delle Banche Centrali. In secondo luogo, possedere criptovalute richiede solamente una chiavetta USB e una chiave crittografica di accesso – ancora meno impaccio del famoso materasso – mentre scambiare criptovalute richiede solamente una connessione internet. A differenza di eventuali patrimoni all’estero, il cui ingresso in patria sarebbe in ogni caso sottoposto al controllo delle autorità finanziarie, far entrare e uscire bitcoin dal proprio paese è quasi facile quanto caricare o leggere un tweet. Un sistema quasi inavvicinabile di elusione delle coercizioni finanziarie messe in campo da uno Stato dispotico. Lo sa bene la Cina, che sembra essersi ormai messa in testa di dover a tutti costi stroncare la circolazione di Bitcoin. Più in generale, persone che scambiano criptovalute per beni e servizi vivono sostanzialmente in un mondo parallelo, immune agli sconvolgimenti che caratterizzano i sistemi centralizzati, a ogni tipo di controllo dell’autorità, a ogni difficoltà connessa con i trasferimenti bancari.

Il futuro dell’Afghanistan non promette bene. Ma alcuni afghani – non sappiamo quanti – sanno oggi di poter contare su un modo di conservare e scambiare denaro molto più solido di tutto quel che esisteva prima dell’invenzione e della diffusione della tecnologia Blockchain. Sperando che per qualcuno tra di essi la vita sarà un po’ meno dura, anche noi impariamo poco a poco da questi laboratori finanziari in giro per il mondo quale tipo di futuro sia possibile per Bitcoin nella vita reale, se mai vorremo farne parte.

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