Il meccanismo è molto complesso e difficile da spiegare. Eppure ci riguarda un po’ tutti, quanto meno quando, di norma ogni due mesi, paghiamo la bolletta dell’energia elettrica. Siamo, infatti, su un mercato fortemente regolato dall’Autorità (Arera), ma sul quale, in Italia come in tutta Europa, si vende e si acquista energia elettrica quotidianamente, ancorché con regole assai diverse da quelle che si registrano sui mercati azionari e obbligazionari e ancora più lontane da quelle dei mercati delle merci fisiche, siano esse lingotti d’oro o cassette di alici.
Ma veniamo al dunque e tentiamo di spiegare perché le fonti rinnovabili, alle quali, giustamente, non possiamo e non vogliamo rinunciare, costano in certi casi più di quello che sembra. Prima, però, bisogna ricordare come, grosso modo (i tecnici mi perdoneranno le semplificazioni), funziona il mercato elettrico, che si articola in quattro sessioni, le prime tre sono gestite dal Gestore dei mercati energetici (GME). Anzitutto, il mercato del giorno prima, MGP, durante il quale gli operatori comprano e vendono quantitativi di energia elettrica per fasce orarie riferite al giorno successivo. Viene quindi il mercato infra giornaliero, MI, durante il quale vengono apportate modifiche ai programmi fissati nel MGP, al rialzo o al ribasso sia delle quantità inizialmente previste ora per ora, sia dei prezzi. Segue il mercato dei prodotti giornalieri, dove si passa, per così dire, dalla teoria alla pratica, con l’effettiva successiva consegna dell’energia. Infine, arriva il mercato dei servizi di dispacciamento, MSD, gestito da Terna. Terna è la società pubblica che trasporta l’energia elettrica ad alta e altissima tensione in tutto il paese (la distribuzione finale in media e bassa tensione è un’altra cosa ed è in capo soprattutto a Enel e, in piccola parte, ad A2A, Iren, Hera e Acea) e che ha per missione di mantenere in perfetto equilibrio il sistema elettrico. L’elettricità, salvo i bacini idroelettrici di pompaggio e qualche per adesso sparuta batteria, non si immagazzina: quando accendo la luce occorre che ci sia chi produce l’energia necessaria, quando la spengo deve cessare la produzione. Ora, accade che alla chiusura del mercato elettrico l’energia contrattata non sia, ora per ora durante la giornata, nella quantità necessaria a mantenere in equilibrio il sistema. A questo punto, Terna chiama a produrre alcuni impianti che vengono remunerati al di fuori delle contrattazioni di borsa. Questa attività ha naturalmente un costo. Si chiama uplift e finisce in bolletta.
In tempi normali, l’uplift vale tra 3 e 8 euro (con l’eccezione del periodo 2016-2017 dove interventi speculativi, poi bloccati dall’Autorità, hanno determinato picchi occasionali a oltre 15 euro) e va a sommarsi al Prezzo unico nazionale, PUN, fissato sulla borsa elettrica, prezzo che negli ultimi anni è sempre oscillato intorno ai 60 euro per Megawattora, con un minimo, in media annua, di 51 euro nel 2004, anno di esordio del mercato, ed un massimo di 87 euro nel 2008. Ma questi non sono affatto tempi normali: l’emergenza coronavirus ha infatti mandato in profonda crisi l’intero sistema economico del paese e il settore elettrico non poteva certo restarne fuori. La domanda di elettricità è crollata, trascinando anche le quotazioni di borsa, che hanno registrato in aprile e in maggio valori di soli, rispettivamente, 25 e 22 euro. Ma nel caso, naturalmente del tutto eccezionale, di un simile crollo della domanda, accade che la quota delle fonti rinnovabili sul totale dell’energia prodotta aumenti moltissimo. Questo perché l’energia delle rinnovabili, che godono di incentivi (fotovoltaico, eolico, biomasse, mini idro, soprattutto) ovvero che presentano comunque costi variabili di generazione pressoché nulli (idroelettrico), viene offerta sulla borsa elettrica a zero o quasi a zero, perché il prezzo finale è quello fissato con l’ultima contrattazione valida sul mercato, che riguarda in genere impianti a gas naturale. Risultato: il calo della produzione ha riguardato esclusivamente le centrali alimentate a gas e in misura minore le poche a carbone ancora in esercizio. Così che, nel mese di maggio, il 54 per cento dell’energia scambiata sulla borsa elettrica proveniva dalle fonti rinnovabili. Le quali, però, hanno in gran parte il difetto di non essere programmabili, generando discontinuità e criticità sul sistema elettrico in misura proporzionale al loro peso. Terna è costretta ad intervenire chiamando a produrre anche soltanto per pochi momenti un maggior numero di impianti, per lo più alimentati a gas naturale. Risultato: in aprile, l’uplift, cioè il costo sostenuto da Terna per garantire l’equilibrio del sistema, è arrivato a 19,53 euro per Megawattora, che va a sommarsi ai 24,81 euro del PUN. A titolo di esempio, nel corso del biennio 2018-2019, l’uplift si è mediamente mantenuto intorno ai 5 euro e il PUN a quota 56 euro, per un totale che è valso 61 euro. Mentre in aprile l’ulfit ha fatto quasi raddoppiare il prezzo finale dell’energia. Ecco perché, quando si parla di costo delle fonti rinnovabili, sarebbe opportuno non limitarsi alla sola spesa costituita dagli incentivi. C’è il mercato, bellezza.
Quando le fonti rinnovabili litigano con il mercato
