domenica, 24 Settembre 2023

Prescrizione 2.0: Colpevoli fino ad assoluzione contraria

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La riforma della prescrizione del reato, divenuta operativa il 1° Gennaio di quest’anno, è un’offesa ai diritti di civiltà giuridica del nostro ordinamento. Invidiato e copiato in tutto il mondo, il nostro modello penalistico orientato secondo la carta dei valori costituzionali, subisce un duro colpo che ne mina le fondamenta: assistiamo passivamente al passaggio epocale da un diritto penale preventivo a un diritto penale repressivo nel quale la persona tratta a processo non è più considerata innocente fino a condanna definitiva (art. 27, co. 2 Costituzione) ma è colpevole fino a sentenza di assoluzione. Siamo dinanzi al “nemico-imputato” che deve rispondere di ciò che ha fatto e soltanto il Giudice che amministra la giustizia in nome del popolo italiano potrà convincere – forse – il popolo dell’innocenza del nemico.

Questa riforma è l’emblema della situazione politica italiana dell’ultimo ventennio: quando al governo c’era la destra che approvava leggi “ad personam” (ben 41!) per garantire l’impunità di pochi e nelle piazze montava a gran voce il movimento del “Vaffa-Day”. La riforma della prescrizione nasce da lì: quando in piazza i rappresentanti dei 5 Stelle si battevano contro le riforme “ad personam” chiedendo l’esclusione dal governo di condannati o processati, di fronte alla approvazione di Leggi che garantiva ai quei politici a processo di farla franca. Sono stati votati, sono andati al governo e oggi hanno chiuso il cerchio ottenendo che non ci siano più processi definiti per intervenuta prescrizione del reato che (secondo il movimento) garantiva al “nemico-imputato” di giovarsi della certezza dell’impunità.

Ma dove siamo stati tutti noi nell’ultimo decennio? Abbiamo subito dapprima la c.d. Legge ex Cirielli (L. n. 251/2005), poi la riforma Orlando (L. n. 103/2017) e adesso la riforma Bonafede (L. n. 3/2019).

Soltanto negli ultimi mesi c’è stata una vera e propria mobilitazione che ha unito ogni organo dell’Avvocatura per provare a bloccare l’entrata in vigore della riforma: Consigli dell’Ordine degli Avvocati, Camere Penali, accademici e filosofi della materia.

Tutti uniti adesso per rivendicare un diritto di civiltà giuridica che non può e non deve in alcun modo essere sacrificato in nome di una bieca “ossessione punitiva” del “nemico-imputato”, propria dell’idealismo di chi oggi rappresenta il Paese.

“Le colpe dei padri non ricadano sui figli” (Deuteronomio 24,16 e Ezechiele 18,20): gli errori politici fatti nel passato, con l’approvazione di leggi “ad personam” per pochi, non devono condizionare le sorti giudiziarie dei molti cittadini che oggi sono a processo per reati bagatellari e non. L’ unico diritto che deve essere garantito da qualunque classe politica è di poter difendere, provandola, la propria innocenza in un processo dalla durata ragionevole (art. 111 Costituzione), fino a quando non ne venga provata la colpevolezza con sentenza di condanna definitiva.

La riforma della prescrizione entrata in vigore violenta questi sacri principi: “con la pronuncia della sentenza di condanna o del decreto penale di condanna”, il termine di prescrizione si sospende per tutti i reati, siano essi delitti o contravvenzioni, “fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna”. La norma, per com’è scritta, risponde unicamente ad un’esigenza punitiva: di non vedere sottratto il “nemico-imputato”, condannato in primo grado di giudizio o destinatario di un decreto di condanna, alla certezza di subire l’esecuzione della pena per il decorso del termine di prescrizione del reato in fase di giudizio d’Appello o di Cassazione, giovando, in tal modo, l’impunità. Esigenza, questa, in antitesi con la natura propria della prescrizione; perché a dispetto della mala-informazione e strumentalizzazione che i 5 Stelle ne hanno fatto per esigenze elettorali, la ratio della prescrizione risponde a criteri di civiltà giuridica: la repressione dei reati non è e non dovrà mai essere un obiettivo prioritario da conseguire ad ogni costo con la sanzione penale. Illustri maestri del diritto penale ci hanno insegnato che con il decorso del tempo diviene inutile e inopportuno l’esercizio della stessa funzione repressiva perché vengono a cadere le esigenze di prevenzione generale che presiedono la repressione dei reati: la minaccia della sanzione deve tendere a distogliere la generalità dei consociati dal commettere reati. Le esigenze di prevenzione, allora, a poco a poco si affievoliscono col tempo fino a spegnersi del tutto e a questa realtà finisce per adeguarsi anche l’ordinamento che utilizza i termini di prescrizione differentemente proporzionati alla gravità dei reati. Differenziazione che, adesso, viene meno con la sentenza di condanna o il decreto, atteso che la riforma non interviene sul dettato prescrittivo dei reati di cui all’art. 157 del codice penale; uniformando così la sospensione della prescrizione nei processi sia per reati bagatellari sia per reati di maggiore allarme sociale. In tal modo, per fare un esempio, la semplice contravvenzione del “getto pericoloso di cose”, punito con l’arresto fino a un mese e utilizzato in passato per contestare condotte di inquinamento ambientale di minore gravità (emissione di fumi), avente un termine di prescrizione di 4 anni, con sentenza di condanna viene ad equipararsi sul piano repressivo al più grave delitto di inquinamento ambientale, punito con la reclusione da 2 a 6 anni e con un termine di prescrizione di 12 anni. In entrambi i casi i termini resteranno sospesi e in entrambi i casi la riforma vuol far credere che l’ordinamento abbia ancora un interesse punitivo della stessa gravità per fatti nella sostanza differentemente lesivi del bene protetto.

Il problema va, quindi, ricercato non sul piano del diritto sostanziale ma su quello processuale.

La riforma Bonafede altro è che il classico “specchietto per le allodole” che cela l’incapacità di questo governo di ricercare e investire risorse economiche per una riforma della giustizia penale davvero efficace. Il vero pericolo che si profila all’orizzonte è un blocco della giustizia penale, con rinvii delle udienze a distanza di anni e con la perdita – sul piano dell’accertamento probatorio – della memoria storica di ricostruzione del fatto di reato.

È su questo tavolo che si giocherà il futuro di una giustizia penale che possa tornare ad essere costituzionalmente orientata; ed è a questo appuntamento che tutto il movimento forense – Avvocati e Magistrati – dovrà presenziare cominciando finora a discuterne per essere parte attiva di una proposta di riforma della giustizia penale. Non basta davvero il correttivo fin qui proposto dal PD.

 

Enrico Napoletano

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