Cassese, intervistato da il Foglio, dà la sua versione sullo stato di salute dell’UE e dell’antieuropeismo montante.
Professor Cassese, lei si è espresso diverse volte contro il “piagnisteo europeo”. Perché?
Per due motivi. Perché, innanzitutto, si valuta com’è l’Unione rispetto a come potrebbe essere o si vorrebbe che fosse, invece che com’è oggi rispetto a come la si voleva ieri. Sessant’anni fa, si pensava che l’Europa avrebbe avuto una legislazione comune ambientale, bancaria, dei servizi pubblici? Allora si voleva uscire da un cinquantennio di guerre, che aveva causato circa 85 milioni di morti, la maggior parte dei quali nel teatro europeo. Grande successo: il sessantennio passato non ha visto guerre in Europa.
E l’altro motivo di critica del “piagnisteo europeo”?
Riguarda gli europeisti. Armellini e Mombelli, in un bel libro appena uscito (“Né Centauro né Chimera. Modesta proposta per un’Europa plurale”, Marsilio), li hanno distinti in sostenitori del modello “condominio” e sostenitori del modello “casa comune” (i primi vogliono salvaguardare gli Stati, ma mettere in comune una parte dei loro compiti, i secondi pensano che tutto vada messo in comune). Ora, gli uni e gli altri non si rendono conto di due loro debolezze, debolezze molto pericolose. Che le loro critiche dall’interno, unendosi a quelle degli antieuropeisti, possono produrre una miscela pericolosa. E che i pianti sulla crisi dell’Europa dovrebbero coinvolgere la crisi dell’europeismo. In altre parole, penso che gli europeisti delle due specie dovrebbero – come si suol dire – “passarsi una mano sulla coscienza”.
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