Le cronache di questi ultimi due mesi, oltre a raccontare i riflessi umanitari del conflitto russo-ucraino, con dovizia di particolari e distinguo filosofici, hanno lungamente indugiato su possibili crisi di approvvigionamento del gas. I ripetuti allarmi su inaspettati blackout, soluzioni per fronteggiare il rigido inverno o improbabili scelte tra pace e refrigerio, hanno messo in secondo piano altri due settori nevralgici. Il primo è quello del grano, duramente colpito dal blocco dei porti ucraini, la cui grave carenza rischia di generare un buco di 57 milioni di tonnellate nel mercato alimentare; il secondo è quello del petrolio russo intorno al quale, in seno all’Unione europea, si sta animando un’accesa discussione sul sesto pacchetto di sanzioni.
Gas, grano e petrolio. Se, come insegna Agatha Christie “tre indizi fanno una prova”, risulta ormai evidente che siamo nel pieno di una crisi globale che rischia di coinvolgere l’intera produzione industriale, andando oltre l’interruzione causata dal Covid-19. Se però sul gas e grano le discussioni e precarie contromisure sono in atto da tempo, sull’embargo petrolifero si continua a trattare.
«Divieto totale» sul petrolio russo
Secondo le indicazioni della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen si vuole proporre un divieto al petrolio russo: «Questo sarà un divieto totale di importazione su tutto il petrolio russo, marittimo e via oleodotto, greggio e raffinato» ha spiegato la Presidente. «Ci assicureremo di eliminare gradualmente il petrolio russo in modo ordinato, in modo da consentire a noi e ai nostri partner di garantire rotte di approvvigionamento alternative e ridurre al minimo l’impatto sui mercati globali. Questo è il motivo per cui elimineremo gradualmente la fornitura russa di petrolio greggio entro sei mesi e di prodotti raffinati entro la fine dell’anno».
La perentorietà di tali affermazioni si è immediatamente scontrata con l’opposizione di alcuni Paesi del Gruppo di Visegrád, Ungheria e Slovacchia, che si sono appellati ad una deroga speciale in nome dell’integrità e dei rispettivi interessi economici.
Come spesso capita quando si discute di politiche energetiche tra i Paesi membri dell’Unione europea si viene colti da un forte senso di disorientamento.
Asimmetria USA e UE
La libera scelta di non proseguire nello stipulare accordi con la Russia di Putin – allo stesso tempo sarebbe interessante approfondire il discrimine etico, epistemologico e temporale di tali decisioni – si scontra con la reale capacità di trovare un’alternativa al vituperato petrolio russo. Al momento le imprese e compagnie petrolifere, in attesa di tempi bui, stanno facendo rifornimento di petrolio così come i governi, seppur con significative distinzioni. Infatti, se Joe Biden, come già fatto in passato, sta aumentando le scorte di petrolio, l’Italia ha deciso di «ridurre d’imperio le scorte d’obbligo di prodotti petroliferi sino al 30 giugno. Quale ne sia la ragione non è dato sapere se non, forse, voler incrementare l’offerta di petrolio sul mercato internazionale per abbassarne i prezzi» ricorda Alberto Clô su Rivista Energia.
Le preoccupazioni di una nuova crisi petrolifera sulla scia di quanto successo nel 2020 sembrano essere smentite dalle previsioni dell’IEA sulla stabilità dei mercati.
Tuttavia, quello che ancora una volta risulta evidente come soluzioni così drastiche penalizzerebbero unicamente l’Unione Europea. Infatti, se da un lato gli Stati Uniti non sarebbero intaccati da una soluzione di questo tipo – vista la scarsa dipendenza e l’elevata abbondanza di risorse – i Paesi europei, in nome dell’indipendenza dei principi, pagherebbero un prezzo enorme di dipendenza delle materie prime.
Come accaduto per gli impegnativi target climatici, anche sull’embargo petrolifero l’Unione Europea rischia di pagare un prezzo elevatissimo, a differenza degli alleati americani, i quali traggono enormi benefici da una Russia economicamente debole.
L’asimmetria degli interessi – economici e geopolitici – tra Stati Uniti e Unione europea, le cui prime avvisaglie sono emerse nell’incontro tra Biden e Draghi, rappresenta una seria minaccia per l’approvvigionamento energetico europeo.
Tuttavia dal tenore dei toni e delle risposte, sorge un interrogativo: per chi suona la campana a Bruxelles?