domenica, 04 Giugno 2023

Oriana: La rivoluzionaria intransigente

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Avevo circa 15 anni quando lessi per la prima volta “Lettera ad un bambino mai nato”. Mia madre è sempre stata una lettrice accanita della Fallaci, io ricordo tutti i suoi libri uno dietro l’altro riposti nella libreria di casa. A 15 anni una ragazza è troppo giovane per capire anche solo minimamente la forza e la profondità di quel libro, per questo lo rilessi a 23 anni e sicuramente riuscii a capire qualcosa in più; che poi capire non è il termine giusto perché uno dei grandi pregi di Oriana Fallaci è la grande chiarezza dei suoi concetti. Il punto era comprendere a fondo le parole di una donna che parla al suo ventre, cercando di spiegare al figlio cosa sia la vita. E per questo ci vuole una maturità che a 15 anni non ti appartiene.

Oriana Fallaci è conosciuta dai più per i suoi ultimi libri, le invettive che hanno fatto il giro del mondo e dei quotidiani più prestigiosi. Ma lei non era questo, o per lo meno, non solo questo. La grande forza di Oriana giornalista era intervistare gli uomini più potenti del mondo e riuscire a descrivere tutte le sensazioni e le parole non dette, celate dietro ogni risposta; così svelava aspetti personali dell’intervistato più di qualsiasi altro suo collega. E il lettore, grazie alla sua descrizione accurata dei dettagli e al suo raccontare le risposte senza solo riportarle, finiva così per sentirsi partecipe della storia che leggeva.

Come non ricordare, per esempio, l’intervista ad Henry Kissinger, all’epoca tra gli uomini più potenti al mondo, in cui lui, sorprendentemente, rivelò che il suo successo era dovuto all’aver sempre agito da solo: “Agli americani piace il cowboy che guida la carovana andando avanti da solo sul suo cavallo, il cowboy che entra tutto solo nella città, nel villaggio, col suo cavallo e basta”. Una frase rivelatrice della sua personalità più di mille colte riflessioni. L’intervista a Kissinger permise alla Fallaci di essere apprezzata a livello mondiale, tutti cominciarono ad interrogarsi sulla donna testarda e tagliente che a colpi di macchina da scrivere aveva umanizzato – ma anche messo al tappeto – il Richelieu della politica mondiale dell’epoca. Oppure, altro esempio memorabile, quando intervistò Sandro Pertini, premettendo “Non si intervista Sandro Pertini, si ascolta Sandro Pertini”, e facendo dell’uomo un ritratto intimo e personale, focalizzandosi sul suo amore per la moglie, e sull’orgoglio dell’antifascista che avrebbe preferito la condanna a morte piuttosto che chiedere la grazia al regime. O, ancora, l’intervista all’Ayatollah Khomeini, davanti al quale si tolse il velo (“questo stupido cencio da Medioevo”) dopo che lui le disse che la veste islamica era per “donne giovani e perbene”.

Negli anni d’oro della sua carriera Oriana non intervistò solo le figure principali del panorama politico. Negli anni 60’ collezionò una serie di conversazioni con i divi del cinema, che poi raccolse nel libro “I sette peccati di Hollywood”, in cui rivelava vizi simpatie e antipatie dello star system americano. E per l’Europeo, in cui lavorava in quegli anni, fece molti reportage sulla condizione della donna nel mondo, oltre che la corrispondente di guerra in Vietnam.

Il tema della guerra è uno dei fili conduttori della vita di Oriana: durante una guerra era nata, ne aveva vissuto gli orrori sulla propria pelle e, grazie al suo lavoro, ne ha raccontate molte, facendone una missione di vita. A partire dagli anni del Vietnam, quando un suo reportage diventò poi un romanzo di fama internazionale (“Niente e così sia”), che creò un vero e proprio nuovo modo di fare informazione. Perché i reportage di Oriana non si limitavano a descrivere la guerra; con le sue memorabili interviste ai soldati che la combattevano ogni giorno, gettò luce sulle debolezze e le mille paure dell’essere umano di fronte al quotidiano pericolo della morte.

Ma lei di che cosa aveva paura? Quella donna indomita, orgogliosa, dura, con i suoi occhiali grandi e l’immancabile sigaretta sempre accesa? Potremmo dire, in fondo, dei rapporti umani. Il suo carattere impetuoso, forte e indipendente crolla solo di fronte al sentimento. Furono due gli uomini della sua vita, François Pelou, un collega conosciuto quando era corrispondente in Vietnam, e Alekos Panagulis, l’amore più maturo e tormentato, al quale dedicò le pagine di “Un Uomo”. Lei, che ripeteva continuamente che la maternità è una scelta non un dovere, per una vita intera la cercò, andando incontro ad un aborto che la sconvolse. Da qui nacque “Lettera ad un bambino mai nato”.

Negli ultimi anni, prima che il cancro (l’alieno come lo chiamava lei) la consumasse, a causa delle sue posizioni dure sul fondamentalismo islamico, venne sempre più associata a posizioni estremiste. In realtà non espresse mai preferenze politiche. Di lei si può affermare con certezza che era antifascista e sin da piccola aiutò la resistenza, facendo la staffetta partigiana. Da adulta, l’unico partito a cui manifestò la sua simpatia furono i radicali; da donna libera sposò le loro battaglie civili e con il suo stile di vita diede una lezione importante a tutte le donne, vivendo come un uomo “con un ventre e dei desideri”, senza scendere a patti con quello che la società si aspettava da lei “in quanto donna”.

Insomma Oriana era forte e intelligente, e come tutte le personalità di questo genere divideva; ancora oggi, a 14 anni dalla morte, c’è chi la ama e chi la odia. Ma resta inconfutabile che sia stata una delle più grandi giornaliste e scrittrici del ‘900. Certamente lo è stata per me.

 

Flavia Stefanelli

 

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