venerdì, 31 Marzo 2023

L’ora più buia della retorica

Da non perdere

Federico Velardi

Cancelliamo per un attimo i personaggi che hanno recitato la storia e guardiamo solo alla sua dinamica. All’indomani della crisi dell’Euro del 2011 e del fallimento dell’elezione del Presidente della Repubblica, lo Stato italiano, in tutte le sue maggiori articolazioni, confessò che per evitare un’altra crisi del genere vi era bisogno di una riforma complessiva della Costituzione attraverso un ribilanciamento dei poteri, fondamentalmente tra governo e Parlamento e tra governo e Regioni. Idea per nulla nuova, già perseguita da decenni, ma che ora trovava conferma definitiva, dopo le settimane turbolente del 2011. Perché, in fin dei conti, il funzionamento  di un sistema di governo lo si misura solo in tempi di crisi. In tempi normali possiamo andare avanti, bene o male, con qualsiasi sistema. 

Nel frattempo, il sistema non è cambiato. Anzi, con il fallimento del referendum del dicembre 2016, l’inerzia torna dalla parte di chi doveva avere un ruolo minore (o non averlo) nel nuovo sistema. E quattro anni dopo arriva una pandemia globale. 

L’emergenza Covid-19 non ci mette molto a far tornare a galla le stesse crepe istituzionali. Il sistema politico genera leadership deboli che, per legittimarsi e difendersi dalle varie manovre quotidiane di piccoli contendenti, ha bisogno di occupare il centro della scena 24 ore su 24, dando la priorità alla sua sopravvivenza politica piuttosto che chiamare a raccolta i migliori cervelli per dare risposte specifiche, misurate e supportate da evidenze (anche labili e transitorie, per carità). Insomma, leadership deboli non possono che generare nomine deboli, per il vecchio adagio che un leader si misura dalle persone di cui si circonda. Dall’altro lato, le Regioni derogano da principi giuridici con ordinanze quotidiane, anticipano le misure poi applicate su scala nazionale, usano lanciafiamme sulle feste di laurea, eccetera eccetera.

Ma se tutto questo era facilmente prevedibile il 5 dicembre 2016, quello che emerge in queste settimane è la più profonda frattura tra lo Stato italiano e il mondo contemporaneo, figlia in qualche modo di quelle mancate riforme. Se le prime misure di fronte a un fenomeno sconosciuto (si può discutere su quanto lo sia stato effettivamente, ma transeat) non possono che essere generali, indifferenziate e più o meno disordinate e superficiali, dopo venti giorni il procedere dell’azione di governo dovrebbe trovarsi, invece, in uno stato molto più avanzato nell’analisi. Passato il momento della sorpresa, ogni azione e misura governativa dovrebbe essere basata su razionali di costi/benefici, di invasività della vita sociale e, soprattutto, dovrebbe essere diretta da un’analisi dei dati al momento completamente assente. Il bollettino quotidiano della Protezione Civile fotografa una situazione – e neppure in maniera chiara e indiscutibile – non sufficiente a indirizzare nessuna scelta politica. E non vi sono indizi particolari che ci facciano immaginare l’esistenza di dati particolari a sostenere le scelte del governo (ad esempio, le uniche analisi dell’effetto delle restrizioni di movimento in cui mi sono imbattuto in queste settimane, sono elaborate da giovani ricercatori che nulla hanno a che fare con lo Stato). La spirale della mancanza di informazioni utilizzabili comporta così la generalizzazione di misure, fino ad arrivare alla decisione di fermare tutte le attività produttive senza neppure lo straccio di una tabella excel omogenea. Purtroppo, però, senza il procedere attraverso un divide et impera, una granularità maggiore dell’analisi – e di sperimentazioni tecnologiche ben calcolate – il giorno della fine della guerra si allontana ogni momento che passa. Negli ultimi tempi l’Italia si è riscoperta per vie cinematografiche appassionata di Churchill e dell’ora più buia. Ma allora, dietro l’importante retorica, ci fu il lavoro di ricerca tecnologica, scientifica, e quindi politica, dello Stato inglese per resistere agli attacchi tedeschi a produrre risultati straordinari: le sfere della propaganda e dei contenuti sono inscindibili. Nell’Italia del 2020 una discutibile retorica è affidata a improbabili e ripetute comunicazioni di Conte su Facebook, mentre solo questa mattina su un giornale (La Stampa) fa capolino l’idea di una task force che potrebbe cominciare a lavorare sui dati. Meglio tardi che mai, viene da dire con quel pizzico di fiducia che rimane.

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