Appena il 10 settembre, l’amministratore delegato di Gazprom Aleksej Borisovič Miller, annunciava il completamento del tanto discusso gasdotto Nord Stream 2.
L’avvio effettivo di un’opera considerata altamente strategica era dato per imminente, si attendeva solo «il via libera della autorità tedesche» così come dichiarato a fine ottobre dall’Ambasciatore russo in Gran Bretagna, Andrey Kelin.
In un quadro dove la guerra dei prezzi energetici imperversava e le difficoltà di approvvigionamento energetico preoccupavano Stati e investitori finanziari, il presidente del CdA della compagnia energetica russa Viktor Zukbov aveva perciò gioco facile nell’offrire una soluzione “immediata”: «il gasdotto Nord Stream 2 è pronto a fornire 55 miliardi di metri cubici di gas all’anno al mercato europeo […] solo i contratti diretti a lungo termine sono in grado di garantire la sicurezza energetica, e che le riserve di Gazprom ammontano a 35 mila miliardi di metri cubici di gas».
A tutti gli effetti, per quanto controverso, il Nord Stream 2 avrebbe rappresentato una discreta polizza energetica per molti Stati, in vista dell’inverno. Come osservato però in tempi recenti, le traiettorie dei mercati energetici non sono mai lineari, ma subiscono le oscillazioni del contesto geopolitico. Non deve perciò stupire il recente stop al gasdotto deciso dall’ente regolatore tedesco per le reti energetiche Bundesnetzagentur (BNetzA), che ha contestato a Gazprom di aver sede soltanto in Svizzera e non in Germania, violando la direttiva UE sul gas.
Il valzer russo-tedesco
Un sofisma, un cavillo legale. Risulta infatti abbastanza improbabile che le autorità tedesche non avessero una profonda conoscenza della compagnia energetica russa e della sua struttura amministrativa. La tempistica rimane singolare. Infatti, tra alterne fortune, gli amorosi sensi (energetici) tra Germania e Russia proseguono da oltre dieci anni, basti pensare al ruolo molto discusso dell’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder nominato da Gazprom alla guida del consorzio del primo gasdotto Nord Stream o del ruolo all’interno del colosso statale russo Rosfnet.
Il caso di Schröder è un esempio eccellente dell’ondivago rapporto tra Germania e Russia, e la battuta d’arresto al Nord Stream 2 rappresenta solo l’ultimo episodio. Da un lato, la cooperazione – in particolare nel settore energetico – risulta reciprocamente vantaggiosa, dall’altro la volontà da parte di Berlino di confermarsi primus inter pares nell’Unione Europea non consente eccessivi scostamenti dalla linea, zoppicante, di Bruxelles. Dal G20 alla Cop26 gli schieramenti, in particolare su tematiche ambientali ed energetiche, erano piuttosto chiari. E non prevedevano particolari aperture a Putin.
Nord Stream 2 rimandato. E ora?
Tali contraddizioni si traducono in un forte imbarazzo da parte della Germania che, su questioni extra-energetiche, ha la necessità di ribadire la propria capacità d’influenza. Una ghiotta occasione – e in quest’ottica è stato letto da molti osservatori l’alt all’avvio del gasdotto – è stata offerta dalla crisi dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussia: se Varsavia, in pieno cortocircuito comunitario, è pronta a costruire barriere per ostacolarne il transito, trova sponda a Berlino con ritorsioni sul dossier energetico russo; Minsk, satellite di Mosca, risponde a possibili sanzioni, minacciando le interruzioni della pipeline Yamal-Europe.
Questo pericoloso gioco di pressioni, sospetti e veti incrociati, ha avuto come reazione allo stop, un ulteriore impennata del 12% dei prezzi del gas e secondo le stime più ottimistiche di trader e analisti, il Nord Stream 2 non sarà avviato prima di aprile 2022, ad inverno abbondantemente concluso. Gli addetti ai lavori continuano a mostrare forte preoccupazione e paventano rischi di blackout, sulla scia di quanto accaduto in Asia.
L’ennesima prova di forza tra Germania e Russia, fatta di ripicche e rappresaglie, ma ormai trasmutata in una macabra danza sull’orlo del precipizio, rischia di far precipitare nei bassifondi (energetici) un intero continente.