sabato, 25 Marzo 2023

Neuroteologia – Andrew Newberg

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Gli indubbi progressi che l’umanità ha raggiunto grazie al metodo scientifico – misurati attraverso il metodo scientifico stesso – vengono sbandierati come una prova della superiorità della scienza sulla religione, come la bussola che ha guidato l’umanità almeno fino all’Illuminismo, se non oltre.

Ci soffermiamo sulla circolarità nella misurazione dei risultati del metodo scientifico perché una delle prime obiezioni appena intavolato il paragone tra le due sfere della conoscenza è spesso questa: “E se usassimo le categorie religiose per giudicare i progressi dell’umanità e non il metodo empirico scientifico? Siete sicuri, voi illuministi, che la scienza abbia migliorato il mondo?”. Che poi, provando a sfrondare tutte le diverse declinazioni, e arrivando al nocciolo della questione, l’obiezione diventa: “Il mondo oltre a produrre più beni, servizi, conoscenza scientifica, etc. è anche migliorato dal punto di vista etico?”. Se a questa domanda si riesce a rispondere di sì, lo scacco alla religione – perlomeno nella sua funzione di strumento di osservazione dell’universo e dell’umanità – può considerarsi (quasi) definitivo.

Qualche settimana fa abbiamo recensito il libro di Michael Shermer “The Moral Arc“, che prova a fare esattamente questo (e secondo noi ci riesce molto bene): calcola il contributo che l’Illuminismo, la ragione e quindi la scienza, hanno portato non al progresso materiale dell’uomo, ma al progresso etico dell’umanità.

Se siete scettici sulla risposta di Shermer e volete invece continuare ad indagare. E se, soprattutto, non credete nell’aspra dicotomia tra scienza e religione come impostata nell’accademia o nella cultura occidentale, e, siete invece convinti – come alla fine è stato per molto tempo, dal mondo classico al Medioevo – che la conoscenza dell’universo attraverso numeri e misure quantitative è alla fine anch’esso un modo per conoscere Dio, e che quindi la scienza non è fine ma solo metodo e la religione è fine ma può non essere metodo, potete cimentarvi con “Neuroteologia: come la scienza ci ha illuminati sulla spiritualità” di Andrew Newberg.

Il libro del neuroscienziato statunitense guarda tutti i recenti sviluppi delle neuroscienze da un’angolazione spirituale, senza mai scadere nel new age che ci ha perseguitato da quando la società post-moderna ha scoperto lo stress come malattia sociale. Anzi, l’autore non lascia respiro e alibi a speculazioni dal sapore para/pseudo/non scientifico. Tutti i fenomeni e le esperienze spirituali che la scienza riesce a osservare, e magari a spiegare, è spiritualità e religione, tutto il resto è una paccottiglia patafisica creata per manipolare e barare.

Nonostante l’impostazione unitaria che la neuroteologia decide di usare nei confronti di religione e scienza, alcuni limiti ben precisi vanno, però, tenuti a mente. Newberg mette, infatti, le mani avanti e nel libro e dichiara che al momento la neuroteologia non può (e quindi non vuole) contribuire alla discussione sul dualismo cartesiano tra mente e corpo. Valutare se è il cervello a creare la mente – assunto di base delle neuroscienze – oppure se la mente è organo autonomo e indipendente capace di generare effetti sul cervello fisico, meccanico e misurabile, non è ancora alla portata di nessuna disciplina scientifica.

Per spiegare l’ambiguità su cui da sempre proviamo a ergerci, in una scena strappata al miglior Don De Lillo, Newberg racconta come una suora aveva accettato di partecipare con il suo gruppo francescano ad una risonanza magnetica durante una preghiera contemplativa nel post-moderno laboratorio di Newberg. Davanti alle immagini della risonanza del suo cervello in preghiera, la suora aveva gioito per la dimostrazione che la preghiera era fondamentale per la sua vita spirituale e intellettuale. L’autore aggiunge poi che, immediatamente dopo la pubblicazione del suo studio sulle suore francescane, Newberg era stato, invece, contattato dall’entusiasta Presidente di un’associazione per la diffusione dell’ateismo che lo ringraziava per aver dimostrato, con il suo studio, che l’esperienza religiosa e la preghiera sono unicamente il frutto dell’attività cerebrale e, che, quindi, di metafisico rimane ben poco.

Se, come noi, dopo la lettura di Newberg siete affascinati dalla neuroteologia, ma continuate a credere che il dualismo cartesiano sia  troppo importante per essere lasciato in disparte, allora – sempre come abbiamo fatto noi – potete (ri)trovare conforto nella “Scopa del sistema” di David Foster Wallace, dove la bisnonna della protagonista, allieva di Wittgenstein, ricorda costantemente alla nipote che ogni oggetto vale solo come funzione, per cui di una scopa è utile la chioma (mente) se si vuole spazzare per terra, ma se si vuole rompere una finestra servirà il manico (cervello).

 

Titolo Originale: Andrew Newberg, Neurotheology: How Science Can Enlighten Us About SpiritualityColumbia Press 2018, pp.328

 

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