Alessandro Volta, forse, non si sarebbe stupito di vedere spumeggiare il mar Baltico. Aveva scoperto il metano più di 250 anni fa, costeggiando in barca i canneti presso Angera, sul lago Maggiore, e raccogliendo “il gas che gorgoglia dal fondo melmoso dell’acqua sotto forma di bollicine che, una volta emerse, svaniscono nell’aria”.
La zarina Caterina II spadroneggiava (anche in Ucraina) contro i cosacchi, ed era persino “sbarcata” in Alaska (non ditelo a Elon Musk), ma il gas non era ancora sfruttato, così come l’energia che ne deriva, i mari non erano solcati da gasdotti e certamente né gli equilibri di forza, né la forza della tecnica erano comparabili.
L’uso delle risorse fossili, del carbone, del petrolio e del gas naturale, per avere energia disponibile e accessibile a basso costo in luogo dell’energia muscolare umana, e poi animale, ha accompagnato più tardi il progresso umano. Benedetto gas, benedetto petrolio, fino a quando non ci strozzano, fino a quando abbiamo preso coscienza che quegli immensi miglioramenti nelle vite, soprattutto dei meno abbienti, dovute all’energia, emettono veleni, creano anche nuovi squilibri, fanno emergere paure, non correggono automaticamente le ingiustizie, e determinano, adottate su scala planetaria, problemi inediti e crescenti all’ecosistema.
Soprattutto quando il controllo sulle risorse, ed il loro uso, è così frastagliato, così mal distribuito e poco lungimirante; lo stesso mercato funziona eccome, ma ha difficoltà a trovare riferimenti di valore che assecondano mutamenti e contraddizioni imprevedibili: “vuoi prezzi fissi, ma mi dici che farai a meno del mio gas”, “devo investire sulle rinnovabili, ma si restringe la strada della crescita per arrivarci”; per non parlare della “collaborazione strategica” con la Russia, diventata una pistola puntata alla tempia dell’Occidente, come ai tempi dei petrodollari arabi.
Dopo aver a lungo ignorato il tema, ed aver denunciato, (a volte demonizzato) le lobby del petrolio, più del carbone ma meno del nucleare (!!), spesso non mettiamo a fuoco (c’è da dirlo) una questione (ed una risorsa) specifica e centrale: il metano. per la gravità della dispersione e dell’emissione in atmosfera di molecole durevolmente e gravemente climalteranti.
Il sabotaggio dei due gasdotti Nord Stream può avere effetti cospicui sul clima, soprattutto a causa della rapidità con cui il metano contribuisce all’aumento della temperatura media globale. Sulla base dei calcoli iniziali si stima che potrebbero essere rilasciati fino a 100 kilotonnellate di metano. Ma già siamo distratti rispetto alle conseguenze.
Ce ne occupiamo per incidenti pur gravi e spettacolari e assai meno che per le problematiche costanti. La quantità di metano in atmosfera è più che raddoppiata rispetto ai livelli preindustriali e circa il 30% del riscaldamento globale è oggi imputabile alle emissioni dovute alle attività umane. Il gas ha un effetto serra molto potente, con un potenziale di riscaldamento oltre 80 volte superiore a quello della CO2 nei primi 20 anni in cui finisce nell’atmosfera.
Azioni, tecnologie ed investimenti per la sicurezza e per mettere fine alle pratiche più dispersive ed inquinanti (venting e flaring) dell’industria Oil&Gas sono indicate da tempo nelle ricerche dell’Environment Defense Fund e di altri scienziati ed operatori come la via più breve e potente per raggiungere obiettivi di contrasto delle alterazioni climatiche.
In questi anni il Global Methane Pledge, un accordo di impegno globale rilanciato da USA e Unione Europea, che include ed impegna ormai 122 paesi nel mondo, richiede impegni definiti: potenziare il monitoraggio, anche via satellite, eliminare le perdite, mettere fine alle pratiche di sfiato e combustione a torcia, e limitare le emissioni nelle importazioni. L’Unione europea è alla vigilia dell’adozione di un regolamento che dovrebbe porre impegni stringenti ai suoi membri. Sul monitoraggio globale, invece, nel 2023 entrerà in orbita, addirittura un satellite, il #MethaneSat, per vederci chiaro, sempre, anche su localizzazione e quantità delle emissioni in atmosfera. Ma ci vogliono regole, europee e nazionali, leggi capaci di far adottare le scelte necessarie ai governi a all’industria. Si può fare.
Articolo a cura di Massimo Micucci, Direttore Merco Italia