E ora provate a dire che domenica scorsa non si sono espressi come una miriade di quanti, i nostri connazionali. Come vorticosi pacchetti di energia caldi e velocissimi, improvvisamente apparsi sulla scena per produrre il più probabile ma non per questo previsto degli eventi.
Naturalmente che fosse l’evento più probabile ce lo stiamo dicendo ora, soprattutto nella forma dell’hindsight bias, che è quella tendenza a credere di aver saputo prevedere un evento, dopo che l’evento si è manifestato. Da domenica viviamo un po’ tutti del senno di poi, stiamo tutti a precisare “io l’avevo detto”: ma dobbiamo sapere che il fenomeno è figlio legittimo dello stupore di fronte all’inedito; è una modalità che si attiva per esorcizzare, quando la realtà ti prende alla sprovvista.
Mentre la verità pura e semplice è che nessuno aveva immaginato un risultato di questa potenza, che in un sol colpo ha cambiato la geografia politica del paese, ha azzerato vecchie appartenenze e archiviato intere classi dirigenti. Al più si prevedevano vittorie temperate, sconfitte di misura, aggiustamenti e zerovirgole. Non nella propaganda elettorale, che faceva il suo povero mestiere. Ma nelle nostre teste, che sono settate su equilibri evolutivi che tendono a delimitare avvenimenti, aspettative e preoccupazioni dentro le zone del possibile. Sogniamo, in fondo, vittorie gestibili; e la stessa sconfitta non la pensiamo mai come un abisso. Invece l’Apocalisse che nessuno annunciava si è mostrata, e ora costringe ognuno di noi a resettarci mentalmente.
Che è, poi, la cosa più complicata (molto complicata, perché siamo figli della nostra storia), ma in questi casi è l’unica da tentare. Quando la realtà ci si squaderna di fronte in maniera inaspettata, la nostra scatola cranica ricorre a mille stratagemmi per non vederla. Per prima cosa il nostro cervello pigro fa ricorso alle esperienze accumulate nel tempo per capire. Ma, come è noto, la memoria inganna: dal passato puoi estrarre indicazioni utili per il futuro solo se contrasti la sua carognesca tendenza fallace. Fallacia che si manifesta quando selezioni ricostruzioni del passato che confermano le tue convinzioni, anche se oggi sono secondarie o ininfluenti (bias di conferma).
Oppure quando cadi nell’errore di mitizzare il passato, e torni ossessivamente su opzioni che hanno funzionato quando la realtà era un’altra (illusione di verità). O, ancora, se insisti nel giocare d’azzardo (gambler’s fallacy), ritenendo impossibile che accada in futuro un evento accaduto più frequentemente del normale in passato. E così via. Non c’è modo di afferrare una nuova realtà se non sottoponi ad una rivisitazione radicale e continua i tuoi atteggiamenti passati e non ti sforzi di vedere sempre i tranelli che ti tendono i maledetti bias.
È un lavoro molto difficile, scomodo, duro. Ma alla fine coglierai (forse, in parte, per un periodo limitato) la realtà quantistica in azione solo non crogiolandoti nel passato, anzi scorticandotelo con dolore dalla pelle quanto più ti assale con i suoi fantasmi. È l’unico modo per essere davvero vivi e partecipi del grande flusso quantistico.
E quindi, per restare a domenica scorsa: è possibile – per tutti – evitare gli assalti del passato, le brume dell’ideologia, le infatuazioni narcisistiche che impediscono di vedere l’opinione che si materializza (oppure no), va e viene, scompare e riappare a suo piacimento? Certamente non servono (o non bastano) le analisi politiche ex-post di vittorie e sconfitte, le minuziose valutazioni di grafici, numeretti e flussi di voti. Almeno a me – confesso – ormai interessano poco. Più interessante e, forse, proficuo, cercare di capire qualcosa di più prima che la realtà si manifesti.
Dunque, al lavoro sul futuro. Strumenti per farlo? Adeguata mole di ricerche e dati, ascolto incessante, intercettazione dei segnali deboli (quando diventano forti la partita è già persa), immaginazione e visione del futuro. Requisiti per essere arruolati nell’esercito quantistico? Onestà intellettuale, modestia, disponibilità a mettersi sempre in discussione, libertà interiore.