“L’ecosistema Internet europeo: vantaggi socioeconomici di un equilibrio più equo tra giganti della tecnologia e operatori di telecomunicazioni” è il rapporto di Axion Partner Group, (lo potete scaricare qui) per ETNO, Associazione degli Operatori Europei di TLC. Il report aggiorna radicalmente un tema che il mondo delle telecomunicazioni e quello dei colossi digitali si portano dietro da decenni.
La questione è cresciuta esponenzialmente ed ha cambiato segno, soprattutto per gli operatori di telecomunicazioni europei. Non altrettanto si può dire delle “soluzioni” e del quadro regolatorio:
- gli OTT sviluppano infatti servizi a valore aggiunto, che gli utenti finali richiedono per molteplici ragioni, a vantaggio dell’economia generale;
- gli operatori delle telecomunicazioni invece forniscono l’infrastruttura sottostante, come tessuto necessario per portare sia questi servizi, che quelli delle stesse società di telecomunicazioni, agli utenti finali. Inoltre, questi operatori di telecomunicazioni effettuano importanti investimenti di rete (ad es. reti di accesso ad altissima capacità, inclusi 5G e FTTH) in modo che i servizi forniti dagli OTT possano crescere e migliorare in termini di qualità e che gli utenti possano beneficiare di queste reti, per accedere ai servizi più recenti, nonché ai servizi governativi, educativi e sanitari di base.

Coloro che guadagnano relativamente (molto) di più, appunto, i cosiddetti OTT (Over The Top) alimentano la crescita del traffico dati degli operatori di TLC, che è diventata la fonte principale dei loro introiti. Ma i due protagonisti di un circuito potenzialmente virtuoso, rispondono a regole diverse (transnazionali e nazionali, ex ante ed ex post, tassazione dei profitti o in base alla localizzazione del cliente finale). Entrambi generano costi, ma certamente non hanno la stessa forza per affrontarli. Lo squilibrio sta proprio qui: i più deboli rischiano di non poter crescere al ritmo dei loro “maxi-clienti”, né delle richieste degli utenti finali, perché si richiedono loro impegni senza precedenti.
Le performance dei diversi settori, in differenti condizioni di mercato, mostrano da un lato l’“enorme distanza” di crescita dei ricavi tra OTT e Telcos, soprattutto in Europa, ma anche che il numero di connessioni ed i ricavi medi per utente delle TLC sono in stallo. Allo stesso modo divergono le curve di ricavi (si va da + 500% a – 40%). Un divario che si fa drammatico soprattutto tra l’Europa ed il resto dei paesi avanzati.
La crescita costante del traffico dati, combinata con la concorrenza tra providers di comunicazioni, provoca un paradosso: per venire incontro ad una domanda-necessità cospicua di banda, ancorché differenziata, è indispensabile investire in reti di Nuova Generazione, a complessità ed intensità crescenti, ma i ricavi delle sole TLC non consentono di tener dietro a questa esigenza.
Gli Stati dell’Unione Europea, dopo la pandemia, e in risposta alla crisi, hanno fatto la loro parte, e continueranno a farla per la digitalizzazione, perché si riduca il divario di accesso, per aumentare la portata e la velocità delle reti fisse e mobili, sui territori, cercando di mantenere condizioni di mercato e concorrenza, a favore degli utenti finali.
Questo avviene mentre è cresciuto lo sforzo per regolare “gli esiti” del mercato digitale (copyright, tassazione, concorrenza) proprio nei confronti degli OTT. Ma non bastano gli Stati. Dal lato dei fornitori di contenuti e servizi, protagonisti della domanda crescente, non c’è una situazione neppure lontanamente paragonabile a quella delle TLC: gli investimenti qui riguardano soprattutto la produzione e la rivendita di servizi, applicazioni, e contenuti a pagamento.
L’espansione di cui s’é detto dell’uso dei dati, va tutta a vantaggio delle nuove opportunità e pratiche, ma sempre avviene con una “ottimizzazione dell’uso”:
- si pensi all’esplosione, che ha richiesto un rapido adattamento in piena pandemia, delle attività-piattaforme-servizi di videoconferenza, gaming e didattica a distanza.
- La funzione auto-play, ormai molto diffusa sui social, e anche la “pre-lettura” per gli annunci rappresentano “standard” ad alto consumo di dati e banda.
Sono solo alcune delle novità che mostrano nuove necessità degli utenti ma non sempre corrispondono all’interesse da parte degli OTT nel rendere “efficiente” l’uso di banda e la qualità del servizio.
Il cuore della ricerca Axon però non è certo la “lamentela” sulla differenza di revenues, ma la difficoltà a “ripartire i costi” di investimento e ad adeguarli agli obiettivi di crescita, impatto sociale, qualità del servizio e di tutela ambientale che l’Unione si è data e che le aziende hanno già raccolto. Parliamo di 150 miliardi di euro per FTTH e 150 per il 5G, sommati a quelli per tutti gli altri obiettivi.
Lo studio immagina, a questo punto, un contributo da parte degli OTT al “tipo di sviluppo” delle TLC richiesto sia per le loro esigenze che per quelle degli utenti. Inoltre prova a immaginare l’entità e l’impatto sulla svolta digitale già descritta, suddividendolo per partes (impatto economico, sociale, ambientale e di qualità del servizio) e provando ad immaginare in diversi ambiti le conseguenze di questi “apporto” finanziario degli OTT ai costi di infrastruttura.
La domanda delle domande, in un quadro già marcato da abbondante regolazione e cospicue differenze (non tutti gli OTT sono uguali nell’impatto) è: quali strumenti è possibile adottare affinché gli OTT, ed in particolare alcuni, siano invogliati se non obbligati e spinti a partecipare alla sfida?
I negoziati tra le parti non sono su un piano di parità, ed è molto difficile ottenere, in un mercato continuamente in movimento, che le parti definiscano spontaneamente un apporto coerente e sufficiente, condividendo i costi finanziari, ambientali e sociali, anche termini di skilling e reskilling di risorse umane della svolta in corso.
Per questo il rapporto oltre a rappresentare i vantaggi di un contributo immagina diversi possibili scenari. Un approccio “regolatorio” per colmare la differenza di peso negoziale tra gli attori.
Strumenti “politici” e regolatori con principi chiari e coerenti con le politiche UE, basati su una regolazione vincolante delle controversie.
Il rapporto ricorda che già esistono disposizioni per la risoluzione negoziata di controversie all’interno di almeno due Direttive Europee (Copyright e Riduzione Costi Banda Larga) e del Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche in Europa. E segnala in Australia la adozione del “News Media and Digital Platforms Mandatory Bargaining Code”, un Codice di contrattazione obbligatoria per i media e le piattaforme digitali”. Proprio per affrontare gli squilibri di potere contrattuale tra le piattaforme digitali (come Google e Facebook) e le aziende giornalistiche australiane. Una soluzione pragmatica che combina soft law ed obblighi, e sembra preferibile ad altre (come la creazione di un fondo ad hoc da redistribuire) che solleverebbe dubbi di una ulteriore tassazione, senza garantire l’indirizzo e la destinazione adeguata.
Articolo a cura di Massimo Micucci, Direttore Merco Italia