Quanto ne viene all’Italia, in termini di ritorno economico, del fatto di essere “bella”? La stima è ardua e la tematica sfuggevole per definizione, ma un tentativo di monetizzazione del Bel-Paese è arrivato da una ricerca della Fondazione Italia Patria della Bellezza, insieme alla società di ricerca e consulenza Prometeia, presentata in Assolombarda, col patrocinio del Ministero dei beni artistici e culturali.
I ricercatori sono partiti dalla considerazione che se per la Germania il differenziale caratterizzante dell’identità del Paese è espresso dalla qualità, per la Svizzera la precisione e per gli Usa il “sogno americano”, nel caso tricolore bisogna imporre nel mondo il concetto di “bellezza” come talento peculiare. Ecco allora i conti in tasca alla cosiddetta “Economia della bellezza”, cioè beni di consumo, tecnologie di ingegno, creatività e turismo: un mondo che vale 240 miliardi di euro, il 16,5% del Pil. Ma se le aziende italiane avessero le prestazioni dei miglior competitor europei la cifra potrebbe crescere, appunto, di 130 miliardi, il 25% del Pil.
I ricercatori sono partiti dall’isolare le variabili “che fanno della Bellezza una dimensione economica misurabile, identificando nello specifico i comparti produttivi che la sostanziano e il valore da questi generato”, spiegano in una nota. Beni di consumo di qualità; beni tecnologici di ingegno; industria creativa e turismo sono i protagonisti di questa nuova categoria del Pil. Di ogni settore sono stati estrapolati i dati relativi ai segmenti a maggior valore aggiunto.