“Scusate, abbiamo scherzato!” potrebbe intitolarsi così il film trasmesso in questi anni sulle politiche climatiche: rinnovabili, transizione energetica, terre rare ecc. C’est tout oublié.
Il conflitto russo-ucraino e le difficoltà nello stoccaggio di gas hanno imposto un rapido abbandono delle scelte green fatte in questi anni, costringendo i policy maker alla retromarcia: dall’Olanda all’Austria, dall’Italia a – soprattutto – la Germania, la lista di paesi (nuovamente) riconvertiti al massiccio utilizzo di centrali elettriche a carbone si allunga quotidianamente. Primum vivere.
Preoccupazioni di lunga data
In via preliminare è bene chiarire come la riduzione delle forniture non sia una novità assoluta, già un anno fa – quando il Nord Stream 2 sembrava la panacea di tutti i mali – in Europa si respirava preoccupazione per gli approvvigionamenti invernali e l’aumento dei prezzi di esportazione di gas. Tuttavia, il sostanziale grado di interdipendenza che caratterizzava le relazioni energetiche UE-Russia ha sempre consentito il buon esito delle trattative. Ovviamente con lo scoppio della guerra e l’applicazione delle sanzioni il quadro è diventato più complesso.
La difficoltà nel riempire gli impianti di stoccaggio in vista dell’inverno non è dettata unicamente da questioni di natura geopolitica, ma in questi giorni emergono soprattutto problemi di natura tecnica. Infatti, Gazprom ha annunciato lavori di manutenzione al gasdotto Nord Stream con un calo di circa il 60 % dei transiti, stessa sorte per quanto riguarda il Turkstream i cui flussi verso la Grecia saranno interrotti per una settimana a causa della manutenzione programmata annuale. Pur trattandosi di lavori ordinari, il clima si sta surriscaldando perché si teme che lo stop possa andare ben oltre i tempi tecnici di riparazione e che il gas diventi uno strumento di lotta. Le dichiarazioni del portavoce del Cremlino, Peskov, lasciano pochi dubbi: «gli europei non hanno ancora restituito le turbine del gasdotto Nord Stream dopo la riparazione, questa è la ragione per i ritardi nelle forniture […] abbiamo gas pronto per essere esportato ma gli europei devono restituire le turbine riparate di Nord Stream».
Sfide di oggi
Questo gioco di veti e ricatti incrociati, oltre ad aver esacerbato ulteriormente gli animi, ha prodotto un aumento del prezzo del gas. In questa cornice è la preoccupazione il sentimento prevalente, l’urgenza di farsi trovare pronti nel caso in cui la Russia e Gazprom dovessero interrompere totalmente i flussi è stata ribadita dal direttore dell’IEA, Fatih Birol, che ha invitato gli Stati – in scia di quanto accaduto per il carbone – «a prendere in considerazione la possibilità di posticipare la chiusura delle centrali nucleari fintanto che ci saranno le condizioni di sicurezza».
Nonostante gli impegni profusi per la transizione energetica e nell’attuare politiche green, dall’ennesima crisi delle materie prime arriva l’inesorabile conferma della centralità degli idrocarburi nel far girare la nostra economia – già vessata dalla spirale inflazionistica – e parafrasando il ministro del Clima tedesco, Robert Habeck: «È amaro ma una pura e semplice necessità». Inoltre, come risulta evidente dagli ambiziosi obiettivi (superati?) di neutralità climatica, per quanto possono essere solo momentaneamente sospesi, la sfida dell’approvvigionamento energetico è oggi perché come sosteneva Keynes “nel lungo periodo siamo tutti morti”.
La pandemia prima, la guerra poi ci stanno consegnando faticosamente rinnovati equilibri in cui la fine dell’eccezionalismo americano, il probabile superamento di un ordine mondiale unipolare e la rottura di consolidate alleanze energetico-economiche pongono numerose incognite. Proprio su quest’ultimo punto le parole della Von der Leyen – Noi dobbiamo assicurarci che utilizzeremo questa crisi per andare avanti e non per avere una ricaduta nei combustibili fossili inquinanti – sollevano numerose perplessità.
Winter is coming, ma l’Europa sarà preparata?