sabato, 10 Giugno 2023

La privacy contagiata dal Covid-19

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Diotima Pagano
Laureata in giurisprudenza. Fortemente convinta che il diritto sia (anche) fantasia, creatività, interpretazione e molto spesso filosofia. Amante della Vespe e della musica in vinile. Il suo motto è "...Things To Come..."

L’art. 9 del D.L. 8 ottobre 2021 n. 139[1]

È stato emanato il Decreto-Legge 8 ottobre 2021, n. 139 recante “Disposizioni urgenti per l’accesso alle attività culturali, sportive e ricreative, nonché per l’organizzazione di pubbliche amministrazioni e in materia di protezione dei dati personali”. (GU n.241 dell’8 ottobre 2021). Vigente dal 9 ottobre 2021.

Il Decreto, anche in considerazione della eterogeneità dei suoi contenuti, ha una complessa ed articolata motivazione.

Oltre ai “canonici” articoli 77 e 87, nonché 32 e 117, secondo e terzo comma, della Costituzione, richiama, enunciandone il contenuto, l’articolo 16 della Costituzione, «che consente limitazioni della libertà di circolazione per ragioni sanitarie».

Rispetto alla legislazione ordinaria, il Decreto Legge n. 139/2021 in esame, rimanda altresì – quali propri presupposti – a decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19»; al decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, recante «Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19»; al decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, recante «Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici»;  al decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, recante «Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19»; al decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, convertito dalla legge 16 settembre 2021, n. 126, recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche»; al decreto-legge 6 agosto 2021, n. 111, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 settembre 2021, n. 133, recante «Misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti»; al decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, recante «Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening».

È un elenco lungo e composito che serve tuttavia a fornire il riepilogo e comunque a dare il senso della intesa attività di decretazione che ha impegnato i Governi chiamati a combattere l’epidemia.

Quest’ultima, come non manca di ricordare lo stesso preambolo, è stata tecnicamente valutata quale «pandemia» “in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale”: così la trascritta dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della sanità dell’11 marzo 2020.

Sul piano della motivazione, è interessante riepilogare i passaggi espressi nel decreto.

In primo luogo, la ritenuta straordinaria necessità e urgenza di adeguare le misure di contenimento dell’epidemia da COVID-19, proseguendo nella graduale ripresa delle attività culturali, sportive e ricreative, nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19, e prevedendo ulteriori disposizioni per l’accesso nei luoghi di lavoro, al fine di garantire l’efficace programmazione delle attività lavorative.

Altresì, l’esigenza di accelerare e semplificare la riorganizzazione del Ministero della Salute, al fine di adeguarne la dotazione organica alle nuove esigenze di tutela della salute pubblica connesse all’emergenza sanitaria.

Ancora: la straordinaria necessità e urgenza di rafforzare temporaneamente l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione in relazione alle operazioni di controllo e verifica particolarmente intense e complesse previste per i prossimi mesi, nonché’ di garantire lo svolgimento in sicurezza delle prove dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato per la sessione 2021.

Per finire: la straordinaria necessità e urgenza di introdurre disposizioni di semplificazione in materia di trattamento di dati personali da parte di pubbliche amministrazioni e di tutela delle vittime di revenge porn.

Su questo cangiante e pluriarticolato ventaglio di esigenze, si staglia, per la radicalità degli effetti, l’art. 9 recante disposizioni in materia di protezione dei dati personali, così novellando il Codice della privacy (Dlgs. 30 giugno 1996, n. 196)

La norma è pressoché illeggibile, in ragione della sua densità lessicale, posto che effettua continui rimandi ad altre disposizioni che vanno a modificarsi con chirurgia legislativa.

In fugace sintesi, l’art. 9 in esame, consente (“è sempre consentito”) a tutti i soggetti pubblici (richiamati nella definizione ex art. 1, c. 2. Dlgs. 165/2001) «se necessario per l’adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di pubblici poteri attribuiti», il trattamento dei dati personali.

A prima lettura, sembra una effettiva “liberalizzazione”, posto che si determina una sorta di de quotazione nella gerarchia delle fonti, nel senso che il trattamento dei dati non poggia su una autorizzazione legislativa diretta, ma si determina in base alla diffusa discrezionalità delle pubbliche amministrazioni, quale sorta di implicito potere sempre e comunque inscritto laddove si affermi il dovere istituzionale di perseguire il pubblico interesse.

Reso in altri termini, se si demanda ad un soggetto pubblico la funzione di perseguire un dato interesse, tanto comporta l’autorizzazione generalizzata a trattare i dati personali.

La ricostruzione proposta trova conferma anche sul prosieguo dell’art. 9 cit., ove afferma: «La finalità del trattamento se non espressamente prevista da una norma di legge … è indicata dalla amministrazione … in coerenza al compito svolto o al potere esercitato…».

Si ribadisce, in termini testuali, che la prima fonte autorizzante il trattamento è direttamente ed esplicitamente la legge; ma non è quella esclusiva: ad essa si affianca la norma che, assegnando un potere, è da ritenere – ora – legittimante, per la solo investitura del munus pubblico, anche il trattamento dei dati personali.

Articolo a cura di Diotima Pagano


[1] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/10/08/21G00153/sg

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