domenica, 24 Settembre 2023

La mini-batteria biodegradabile stampata in 3D: nuove possibilità per un’elettronica sostenibile

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Emanuela Scardapane
Dottoranda in Fisica all'Università Federico II di Napoli, studia e progetta biosensori per la rivelazione di contaminanti e agenti patogeni nell'acqua. Appassionata di scienza e sostenibilità ambientale, quando non è tra i libri si diverte a scarpinare in montagna.

Un team dell’istituto di ricerca svizzero Empa (Swiss Federal Laboratories for Materials Science and Technology) ha realizzato una piccola batteria completamente biodegradabile. La ricerca apre nuove e promettenti strade verso l’utopico regno dell’elettronica green.

Come si stampa una batteria green

Xavier Aeby, dottorando nel laboratorio Cellulose & Wood dell’Empa e Gustav Nyström, capo del laboratorio, hanno rivelato in una recente pubblicazione di aver costruito una mini-batteria biodegradabile con l’ausilio di una stampante 3D. Gli inchiostri delle stampanti 3D sono, più che inchiostri, veri e propri materiali e possono essere variati in base alle più disparate esigenze, andando ben oltre le tipiche plastiche (ABS, PLA). La sfida vinta dai ricercatori, in questo caso, è stata duplice: da un lato progettare una batteria utilizzando solo materiali biodegradabili, dall’altro trovare la ricetta perfetta per trasformare questi materiali in inchiostri adatti ad una stampante 3D.

La mini-batteria biodegradabile. Immagine: Gian Vaitl/Empa

Il risultato del loro lavoro è una batteria, larga pochi centimetri quadrati e spessa poco più di un millimetro, che una volta caricata è in grado di accumulare energia per ore e di alimentare senza difficoltà un orologio digitale. Sopporta migliaia di cicli di carica e scarica e poi, una volta sepolta in un cumulo di terriccio, si degrada quasi del tutto in alcune settimane, senza rilasciare sostanze tossiche.

La mini-batteria è composta per la maggior parte da nanocellulosa, un materiale di origine naturale prodotto a partire dalla stessa materia prima della carta. Pur essendo completamente biodegradabile, la nanocellulosa non è affatto fragile – anzi, è ben più resistente dell’acciaio e persino cinque volte più leggera. Gli altri ingredienti in gioco sono materiali a base di carbonio (grafite e particelle di carbon-black), un biopolimero atossico (la gommalacca) e infine glicerolo, acqua e sale da cucina (quest’ultimo per la conduttività ionica).

Applicazioni e prospettive future

La batteria eco-friendly potrebbe essere ragionevolmente impiegata per alimentare dispositivi tecnologici a basso consumo energetico. Tra questi rientrano i sensori per il monitoraggio ambientale, con il vantaggio che dopo l’utilizzo, come spiega Nyström, «non ci sarebbe bisogno di raccogliere nuovamente le batterie, potrebbero essere lasciate a degradarsi in natura». Similmente è allettante un’applicazione nel campo dei dispostivi point of care, ovvero tutti quei dispositivi che consentono di svolgere analisi mediche fuori dai laboratori, in modo rapido e direttamente accanto al paziente. Si tratta di un campo che ha visto una notevole espansione con l’avvento della pandemia e per il quale la biocompatibilità e le piccole dimensioni sono molto apprezzate.

La mini-batteria ha due punti di forza che possono consentirle di aprire effettivamente la strada ad un’elettronica green. Il primo è la tecnologia alla base della sua realizzazione: le stampanti 3D sono reperibili in commercio e consentono di realizzare lo stesso dispositivo in modo semplice e in qualunque posto del mondo ci si trovi. Il secondo è la materia prima: la nanocellulosa è un materiale versatile e considerato tra i più promettenti materiali green nell’ottica di sostituire le plastiche. Dopo anni di ricerche (ancora in atto) che hanno contribuito ad ottimizzare la fase di produzione, l’impiego della nanocellulosa sembra destinato alla crescita.

Abbiamo davvero bisogno di batterie biodegradabili?

In un report dell’ITU (International Telecommunications Union) si legge che nel 2019 sono state globalmente prodotte 53.4 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici. Nel caso in cui la cifra non ci avesse spaventato abbastanza viene subito aggiunto che si tratta dello stesso peso di “350 navi da crociera grandi quanto la Queen Mary 2”, cioè lunghe ben 345 metri.

Peggio ancora, di tutti questi rifiuti solo una piccola percentuale (17%) risulta raccolta e riciclata correttamente. È chiaro che in qualsiasi discorso che prenda seriamente in considerazione i rischi ambientali connessi all’eccesso di rifiuti elettronici il problema del mancato riciclo deve essere considerato prioritario. Tuttavia, le batterie ricaricabili comuni (come quelle a ioni di litio) rappresentano una minaccia ecologica anche se correttamente raccolte dagli utenti. Non a caso è ampio il dibattito scientifico su come ridurre rischi e limiti connessi al reperimento delle materie prime, alla fase di produzione, alla limitatezza del ciclo di vita e alla modalità di riciclo.

In quest’ottica, anche se nessuno si aspetta che l’invenzione della mini-batteria biodegradabile ci porti ad avere tra un anno, sulle nostre scrivanie, un bel notebook compostabile, ciò non significa che questi risultati debbano restare fuori dall’attuale sviluppo tecnologico. Anzi, a fronte di uno sviluppo tecnologico che non può arretrare, è una sfida vitale della quarta rivoluzione industriale (quella in atto) conciliare elettronica e sostenibilità ambientale.

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