giovedì, 23 Marzo 2023

La crisi energetica tra ritardi e confusioni

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Noel Angrisani
Laureato in Scienza della Politica, ha completato il suo percorso di studi con un master in Relazioni Istituzionali, Lobby e Comunicazione d'Impresa. Per due anni si è occupato di progettazione europea, successivamente ha lavorato presso un'agenzia di eventi corporate e B2B per il No-Profit. Dopo essersi cimentato nel public affairs, oggi lavora come consulente in ambito organizzazione e pianificazione.

La cautela e lo scetticismo con cui in queste settimane abbiamo raccontato la zoppicante strategia dell’Unione Europea di fronte ad una crisi energetica dai contorni sempre più preoccupanti, ha trovato ulteriore conferma nell’ultimo Consiglio Europeo.

I Ventisette Paesi sono riusciti nuovamente a dividersi, senza trovare alcuna soluzione all’aumento dei prezzi. Anzi, la discussione ha riguardato il programma “Fit for 55” e soprattutto il mercato di scambio delle quote di CO2 (ETS) con i Paesi dell’Est, guidati dalla Polonia, molto critici su un sistema ritenuto soggetto a speculazioni eccessive e in grado di creare difficoltà all’economia.

Ne parliamo poi

E la crisi di approvvigionamento e dei prezzi? «Le divergenze attorno al tavolo non hanno permesso di avere delle conclusioni comuni. Ne parleremo al prossimo Consiglio europeo» è stata la laconica dichiarazione del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al termine del vertice. Stessa sorte è toccata alla tassonomia verde, la cui adozione da parte della Commissione europea è slittata molto probabilmente al 2022, secondo quando affermato dal commissario europeo per l’ambiente Virginijus Sinkevicius.

L’Unione Europea sembra confermare la teoria della relatività del tempo di Einstein, derubricando l’emergenza ad illusione arbitraria della nostra percezione – non a caso alcuni paesi hanno definito la crisi energetica come passeggera. Invece la realtà, assoluta e implacabile, segnala nel primo giorno d’inverno alcuni dati piuttosto allarmanti: il prezzo del gas all’ingrosso prosegue la sua corsa incessante toccando i duemila dollari al metro cubo; sul mercato di scambio olandese di riferimento TTF c’è stato un rialzo del 20 % con il metano che ha superato i 180 euro per Megawattora.  Molti osservatori hanno attribuito le cause allo stop dei flussi in transito dal gasdotto Yamal-Europe, oltre alle consuete tensioni geopolitiche tra Russia e Unione Europea che ogni settimana si arricchiscono di nuovi episodi con al centro i ripetuti ostacoli sul Nord Stream 2.

Crisi energetica e crisi geopolitica

Il combinato disposto di questi fattori continua ad offrirci un continuo di disorientamento: nell’anno di trionfalismi green viene registrato un nuovo record annuale di produzione del carbone e nel 2022 è previsto un ulteriore aumento, e solo per citare il caso italiano.  Mentre il governo sta provando a contenere gli aumenti previsti a gennaio con possibili rateizzazioni delle bollette, vengono riaccese due centrali elettriche alimentate a carbone.

In un quadro a tinte sempre più confuse e fosche, continua ad essere il gasdotto della discordia la cartina di tornasole della crisi energetica. Infatti, se Bruxelles in tandem con Berlino – il vicecancelliere tedesco verde Robert Habeck ha ribadito che in presenza di un’aggressione russa all’Ucraina nulla sarebbe più impensabile – interromperà definitivamente il processo del Nord Stream 2 è probabile che i prezzi del gas naturale e dell’energia resteranno molto alti per i prossimi anni. Anche il peso geopolitico dell’Unione Europea e dei suoi membri rischierà di ridursi ulteriormente, favorendo la nascita di altre rotte energetiche – è il caso del nuovo progetto Power Siberia 2 che vede impegnate Russia e Cina – tagliando fuori Bruxelles.

Bruxelles, ci sei?

Osservare le dinamiche energetiche e geopolitiche di questi ultimi mesi – avvilenti nella loro ciclica ottusa riproposizione – segnala soprattutto come le smisurate e irrealistiche ambizioni climatiche dell’Unione Europea stiano andando in frantumi. La litania secondo la quale il Green Deal e l’utilizzo delle rinnovabili rappresentano l’unico svincolo al fine di ridurre la dipendenza da Mosca appare sempre più irrealistica – tutti gli indicatori vanno esattamente in direzione opposta – e baloccarsi con codici, regolamenti e arzigogoli burocratici non rappresenta certamente la risposta ad una domanda ancora inevasa: quante divisioni ha Bruxelles?

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