Oltre alla crisi energetica, le forze politiche che si candidano a governare l’Italia nei prossimi cinque anni dovranno affrontare un’altra questione strettamente connessa al superamento della crisi: quella dell’accettazione sociale delle infrastrutture energetiche necessarie a rendersi sempre meno dipendenti dal gas russo, incluse quelle per accelerare il processo di transizione energetica.
Rientra in questi investimenti, in primo luogo, la realizzazione dei rigassificatori galleggianti al largo di Piombino e Ravenna. Se a Ravenna la cittadinanza e la politica locale hanno accolto con favore l’opera, a Piombino la reazione è tutt’altra, come testimoniano le numerose manifestazioni cittadine delle scorse settimane alla cui guida si è posto lo stesso Sindaco della città. Queste infrastrutture servono nell’immediato perché, come sottolineato dal ministro Cingolani nella conferenza stampa del 28 luglio, sono essenziali per garantire la sicurezza energetica del Paese. Senza l’aumento della capacità di rigassificazione, infatti, saranno resi vani tutti gli sforzi compiuti sino adesso per siglare accordi con i Paesi africani volti ad aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto.
L’alternativa alla mancata realizzazione di ulteriore capacità di rigassificazione sarà quella di dovere fare fronte a una eventuale interruzione (o drastica riduzione) delle forniture di gas russo attraverso il razionamento dei consumi, in particolare del comparto industriale, con le conseguenti ricadute che ci saranno su occupazione e crescita economica. Gli elevati prezzi del gas naturale, e la loro crescente volatilità, rischiano già di per sé di indurre comportamenti di risparmio dei consumi dettati dall’impossibilità di fare fronte a prezzi così eccezionali. Prezzi che, inoltre, rischiano di rallentare il riempimento degli stoccaggi di gas naturale, ossia le riserve cui si attinge in caso di squilibri tra domanda e offerta.
Certo, si può sempre fare fronte alle difficoltà generate dal caro prezzi iniettando liquidità a supporto di operatori e consumatori finali. Ma tutto questo non è altro che spesa e debito pubblico, che prima o poi, mostreranno il loro impatto su imposizione fiscale, capacità di risparmio e consumo delle famiglie e creazione di ricchezza da parte del tessuto imprenditoriale. Opporsi quindi alla realizzazione di tali infrastrutture, necessarie a superare questa drammatica crisi, significa sostanzialmente sposare l’idea di una autarchia energetica dove però a essere garante di tale autarchia non è la disponibilità di risorse alternative che generano ricchezza e indipendenza ma, diversamente, il razionamento dei consumi che genera decrescita infelice.
Una autarchia anche geopolitica che traccia una distanza dall’Europa e dagli obiettivi di decarbonizzazione cui l’Italia ha aderito. L’opposizione sociale non è un fenomeno che riguarda, infatti, solo i rigassificatori ma tutte le infrastrutture energetiche come gasdotti, impianti di generazione elettrica rinnovabile e le necessarie infrastrutture di rete per la connessione di tali impianti. Certo è che, per raggiungere gli obiettivi al 2050 di decarbonizzazione, il gas naturale rimane ancora essenziale per assicurare il soddisfacimento dei consumi elettrici a fronte di una sempre maggiore incidenza di fonti rinnovabili di generazione elettrica non programmabili. Non sorprende più di tanto, quindi, che dal dibattito sia scomparso l’aumento della produzione nazionale di gas come ulteriore fonte per assicurare l’affrancamento dal gas russo. Se vi è opposizione per una infrastruttura galleggiante, transitoria e sicura come un rigassificatore, figuriamoci quale potrebbe essere l’atteggiamento rispetto all’estrazione di gas nazionale nel Paese della moratoria alle trivelle.
Allo stesso tempo gli italiani chiedono sicurezza energetica e bollette meno care. Purché ciò avvenga, però, grazie alle infrastrutture messe nel territorio di qualcun altro e grazie al sacrificio, sempre, di altri. Insomma, l’attitudine ai diritti ma non ai doveri. Chi guiderà il Paese nei prossimi anni dovrà quindi chiarire come si intende affrontare il crescente fenomeno della mancata accettazione sociale delle infrastrutture energetiche. Oltre alla sicurezza energetica del Paese sono infatti in ballo le nostre prospettive di crescita economica e la nostra adesione al progetto europeo.