venerdì, 09 Giugno 2023

Informazione italiana e Bitcoin: a che stiamo?

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Antonio Somma
Laureato in fisica all'Università Federico II, diplomato in pianoforte e in composizione al Conservatorio di Napoli, sua prima e ultima città, scrive poca musica, suona un po' di più, studia di tutto da sempre. Orgoglioso esponente della generazione Erasmus, dal 2020 dottorando in acustica musicale e musicologia alla Sorbona di Parigi.

È dalla sua nascita che Bitcoin torna periodicamente alla ribalta sui media italiani, specialmente in occasione delle vertiginose acrobazie di mercato che hanno accompagnato la sua inesorabile crescita. Questo fa sì che di Bitcoin si parli senza capirlo: qui mettiamo in fila alcuni luoghi comuni sulla storia recente del mondo cripto.

La percezione di Bitcoin

Siamo arrivati al punto in cui tutti conoscono la parola “Bitcoin”. Che cosa però Bitcoin sia – va detto – ancora sono in pochi a saperlo. Che sia per la difficoltà di comprensione che qualcosa di profondamente innovativo si porta dietro, di Bitcoin a molti non resta che cercare di capire cosa ne si può fare. In questo, i media hanno una responsabilità notevole, visto che gli articoli di approfondimento specialistici in lingua italiana restano o rari o ostici (per un pubblico generalista). Dal canto loro, i giornali italiani – com’è legittimo che sia (?) – tendono a offrire ai propri lettori notizie e approfondimenti su Bitcoin con l’approccio di chi cavalca l’ondata di popolarità. Il che, neanche a dirlo, accade in concomitanza con le montagne russe che periodicamente trascinano con sé il prezzo di Bitcoin, proprio a causa di quei quarti d’ora di celebrità innescati da fattori esogeni.

Quel fenomeno da baraccone di Bitcoin

Il risultato netto è che, in Italia, Bitcoin ha il volto di un oscuro asset di investimento, dalle stagioni assai volubili: ciò che, a giochi fatti, finisce per essere davvero. E il ciclo si ripete, come accadde nel 2017, come sembra che stia accadendo quest’anno, nel 2021. Sorge spontanea la domanda: non godono i giornali di carta, dall’alto del loro prestigio, del diritto talvolta di tradire il sodalizio con il lettore, offrendogli approfondimenti che non dicano solo quello che già si aspetta di leggere?

Risale al 7 luglio, sul giovane ma già prestigioso quotidiano Domani, un’analisi, firmata da Davide Maria De Luca e Filippo Teoldi, che esemplifica molti di questi temi. «Bitcoin e le altre criptovalute tra Cina, Elon Musk e inquinamento» strizza l’occhio – come vuole il kaìros – a chi ha sentito parlare dei recenti accadimenti su Bitcoin. Fatti che, d’altro canto, hanno ispirato anche gli approfondimenti che, qui sul sito di FOR, abbiamo dedicato al mondo cripto. Come da copione, l’articolo dà per assunto che sia impossibile capirci qualcosa sui Bitcoin, e si limita a riflettere su come usarli per quello che sono: un’oscura tecnologia, gestita da anonime figure ispirate da un sogno “anarco-capitalista”, che hanno finito per edificare un dispendioso giocattolo macina-soldi. Come si sa, la narrazione è tutto: la classica profezia che si autoavvera, a conferma di pregiudizi con un fondo di verità, ma poco a fuoco sugli elementi chiave del dibattito.

Possiamo capire Bitcoin?

Intanto, capire Bitcoin è difficile, ma non impossibile. I più smaliziati potrebbero addirittura leggere il suo codice sorgente su GitHub, lo standard per lo sviluppo condiviso di software, da cui chiunque abbia mai scritto una riga di codice è prima o poi passato. L’intricato programma informatico che determina il funzionamento di Bitcoin è periodicamente aggiornato da una comunità aperta di contribuenti, le cui decisioni sono basate su un meccanismo di ricerca del consenso tra i dibattenti: esattamente come succede su Wikipedia per la redazione degli articoli. Come tutti sanno, Bitcoin non è esente da problemi, soprattutto in termini di sicurezza e scalabilità, la capacità cioè di essere ottimizzato per un numero via via crescente di utenti. Questo genere di problemi è correntemente discusso in maniera aperta e molti problemi sono così stati risolti negli anni. Insomma, c’è tutto sommato poco di misterioso, per chi voglia saperne qualcosa.

Gli sviluppatori, questi sconosciuti

Chi sono gli sviluppatori? Difficile assegnarli a una categoria sociale in particolare. Sebbene esistano alcune note associazioni, vagheggiate da Domani, tra figure influenti nel mondo cripto e sostenitori della campagna Trump 2016, sarebbe ingeneroso qualificare come libertari radicalizzati tutti loro e i possessori di criptovaluta (tra cui il sottoscritto). Chiariamoci, è più facile associare i principi della decentralizzazione finanziaria, offerta da Blockchain, a una visione meno statalista della società, tema costitutivo della destra statunitense. Tuttavia, Bitcoin non è un fenomeno né statunitense, né atlantico. Esso raccoglie consensi crescenti, per ragioni più o meno nobili, in ogni parte del mondo: tra i colossi finanziari, ingolositi dalle possibilità di profitto, come tra gli emigrati che pensano a nuovi modi per inviare a casa denaro senza il peso di onerose commissioni agli intermediari.

Criptovaluta implica inquinamento?

E non ripeteremo, come facciamo da settimane qui su FOR, che Blockchain non è una tecnologia né di destra né di sinistra, le cui potenzialità in ogni dominio (dalla salute alla democrazia) sono ancora inesplorate. Come pure i lettori di FOR dovrebbero sapere, Blockchain, la rete su cui viaggia Bitcoin, non è Bitcoin, e Bitcoin non è Blockchain. E non sono le dimensioni della Blockchain a causare l’esplosione dei consumi di elettricità e a incoraggiare l’uso di supercomputer. È questo quello che si finisce per credere a non cercare di capire come funziona Bitcoin. Ma, se così fosse, perché allora inviare delle semplici mail non starebbe distruggendo il nostro pianeta? L’esempio dell’e-mail non è casuale, poiché in piccolo rappresenta ciò che accade in Bitcoin.

In quel caso, a sperperare risorse di calcolo è lo spam, ossia l’invio indiscriminato, a valanga, di uno stesso messaggio a scopo commerciale (quando va bene). Ma non è neppure il gran numero di mail inviate per spam a determinare lo sperpero, bensì il metodo implementato nel tentativo di impedirlo. Come? Scoraggiandolo. Ogni volta che una mail è pronta, chi la invia deve occuparsi di risolvere un problema crittografico, piuttosto banale per i moderni computer. La soluzione di questo problema richiede un tempo impercettibile nel caso in cui si stiano inviando poche mail, ma si trasforma in uno sforzo sovrumano aldilà di un certo numero (enorme) di mail inviate in contemporanea. I nostri client giudicano non validi e scartano messaggi che non provano di aver risolto il problema crittografico.

Proof-of-Work

Protocolli simili prendono il nome di “Proof-of-Work” (PoW): il lavoro computazionale che siamo stati disposti a fare dimostra la buona fede del messaggio. Tornando a Bitcoin, la buona fede di una transazione viene giudicata con un meccanismo simile. Senza soluzione di un problema crittografico, stavolta piuttosto impegnativo, nessun trasferimento di Bitcoin da un utente all’altro può essere convalidato. È questo il meccanismo implementato attualmente su Bitcoin e su altre criptovalute per impedire che si carichino valanghe di transizioni malevole sulla blockchain. Ed è questo solo aspetto, cruciale per quanto marginale, che determina l’impiego di risorse di calcolo, e consumi energetici, impressionanti.

Da anni, gli sviluppatori discutono, senza molto successo, di un’alternativa alla PoW per assicurare a Bitcoin l’immunità da attacchi. È importante però sapere che, semmai troveranno un’alternativa, allora il problema ambientale insito in Bitcoin si risolverebbe. In poche parole, la PoW non è Bitcoin, Bitcoin non è la PoW.

La diaspora dei miner ha ripercussioni sul mercato?

La questione energetica sta però indubbiamente condizionando le vicissitudini di Bitcoin. È il caso di ciò che sta accadendo in Cina, dove lo sperpero di risorse energetiche nella PoW che fa funzionare Bitcoin starebbe incrinando le politiche energetiche di Pechino. Così, la Cina sta mettendo al bando l’intero processo del “mining”, la scrittura, debitamente retribuita in Bitcoin, di transazioni sulla Blockchain. È questo solo una tappa del progressivo inasprimento, soprattutto dopo la famigerata bolla del 2017, delle normative contro Bitcoin, di cui lo scambio (ma non il possesso) è vietato.

Se pensiamo che il 65% del mining nel 2020 avveniva in Cina, è chiaro che la diaspora dei minatori cinesi avrà effetti importanti sul futuro di Bitcoin. Ripercussioni che, però, non hanno necessariamente a che fare con le recenti fluttuazioni del mercato, visto che la gente continua a scambiare Bitcoin quasi come se nulla fosse. Senza contare che alcuni posti del mondo, come il Texas o il Kazakistan, non vedono l’ora di accogliere questi esuli. Così come altri giornali, come il Post, hanno ipotizzato, la decentralizzazione del mining potrebbe addirittura stabilizzare le criptovalute, rese meno dipendenti dalle vicissitudini di un singolo stato.

Il futuro di Bitcoin è segnato?

E che dire di El Salvador? Il punto di vista atlantico, di noi piccoli investitori per hobby, finisce per oscurare quello di uno Stato centramericano che ha appena dato corso legale a Bitcoin, avendo senz’altro le sue ragioni. Davvero il sogno di una sostituzione delle “banche centrali” con “catene virtuali”, come dice Domani, è tramontato? Sembra presto per dirlo, visto che per la prima volta da quando esiste Bitcoin è ufficialmente usata come valuta.

Insomma, nessuno sa bene cosa ne sarà di Bitcoin. Quello che sappiamo è che né la sua concezione né il suo utilizzo sono processi compiuti e prêts à porter, alla mercè di un certo numero di giocatori di borsa statunitensi. Se proprio non vogliamo salire sul treno in partenza, dobbiamo però almeno sapere se, quando e dove questo treno potrà mai partire.

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