La cannabis è stata utilizzata liberamente dagli uomini per migliaia di anni per i suoi effetti curativi e ricreativi, ma soltanto dal XX secolo ha iniziato a subire restrizioni. Da sempre criminalità, droghe e migranti sono argomenti utilizzati per ottenere divieti.
Una delle prime campagne contro la cannabis fu lanciata da John Warnock, un medico inglese espatriato in Egitto, il quale suggerì che la sostanza era responsabile di gran parte della demenza e del crimine nel paese. La Società delle Nazioni che si incontrò nel 1924 per discutere di stupefacenti come l’oppio e l’eroina, fu influenzata dalle sue “tesi” sui pericoli della cannabis. Ma le sue ricerche non erano attendibili. I dati erano stati raccolti solo da pazienti nel dipartimento egiziano di Lunacy. Per Warnock non parlando arabo era difficile determinare se i pazienti fossero stati o meno consumatori e se i sintomi fossero riconducibili alla cannabis.
Durante gli anni ’30, negli Stati Uniti la cannabis fu accusata di essere la prima causa della violenza tra gli immigrati messicani e di essere una sostanza utilizzata per corrompere gli adolescenti. Quando alle Nazioni Unite fu istituito nel 1961 il sistema internazionale di controllo della droga, con la Convenzione unica sulle droghe narcotiche, l’uso della cannabis nella medicina tradizionale fu completamente ignorato.
L’Italia negli anni ’50 e ’60 era il secondo maggior produttore di canapa al mondo. La varietà “Carmagnola” forniva la miglior fibra in assoluto, e le rese unitarie per ettaro erano (e potrebbero ancora essere) maggiori che in ogni altro paese. Nel 1975 con la “legge Cossiga” contro gli stupefacenti, gli ultimi ettari coltivati a canapa scomparirono.
Il secolo scorso ci ha insegnato che la parola più facile da associare al proibizionismo è fallimento. La sconfitta più celebre, in tal senso, resta la lotta all’alcol nell’America degli anni ‘30 che non ha eliminato i traffici illeciti e ha aumentato il numero di persone che si sono rivolte ai mercati illegali.
L’uso della cannabis dovrebbe essere regolamentato non solo per ridurre i danni sociali provocati dal divieto, ovvero quelli legati al commercio illegale e alla necessità per i consumatori di entrare in contatto con la criminalità, ma anche per lo scopo terapeutico. La cannabis a scopo curativo, infatti, è utilizzata in vari casi clinici, in particolare quelli davvero estremi. Ne sono un esempio gli impieghi nelle terapie del dolore dei malati di sclerosi multipla, Sla e da pazienti affetti dalla sindrome di Tourette e da glaucoma.
Per non parlare degli effetti della produzione e del commercio legale che possono avere una ricaduta positiva sulla nostra economia. Secondo le stime della Coldiretti, la canapa industriale è un settore che potrebbe generare per il nostro Paese un giro di affari da 1,4 miliardi di euro, garantendo almeno 10mila posti di lavoro.
In alcuni Stati americani, in Canada e in Uruguay quello della cannabis legale e dei suoi derivati è un business in forte crescita che coinvolge tanti settori, da quello alimentare a quello farmaceutico e cosmetico. In questi paesi i risultati sono incoraggianti, infatti i mercati regolamentati proteggono i consumatori, fanno risparmiare le risorse destinate alla polizia e aumentano le entrate. Nel 2015 il Colorado è stato il primo Stato degli Usa ad applicare sul territorio la regolamentazione della cannabis ricreativa per i maggiorenni (21 anni). Consentita la produzione commerciale e la vendita in appositi negozi, il possesso a uso personale fino a un’oncia (28 grammi) e la coltivazione fino a sei piante. Dopo cinque anni le entrate seguite alla regolamentazione coprono ora circa il 3% del budget statale annuale di 30 miliardi di dollari (che a norma di legge verrà investito soprattutto per istruzione, sanità, prevenzione sulle droghe). Finora il settore conta 3 mila imprese munite di apposita licenza e dà lavoro a circa 41 mila persone, mentre questi cinque anni le varie aziende hanno totalizzato un fatturato superiore ai 6,5 miliardi.
Negli ultimi anni il tema della legalizzazione della cannabis è entrato nelle aule del nostro Parlamento, la volontà è quella di regolamentare, anche se persistono forti resistenze. Un importante novità è stata l’approvazione della legge n. 242 del 2016 che ha creato una esenzione di responsabilità per l’agricoltore nel caso in cui i risultati ad un controllo rivelino un valore di THC superiore a 0,2% ma inferiore a 0,6%. Si può fare ancora molto sia nel campo terapeutico, dove i divieti privano migliaia di pazienti dall’accesso a terapie che potrebbero aiutarli, sia quello industriale per le produzioni che vanno dagli eco-mattoni isolanti all’olio antinfiammatorio e alle bioplastiche. In conclusione, citando l’economista Milton Friedman: “Making prohibition work is like making water run uphill; it’s against nature” (Far funzionare il divieto è come far scorrere l’acqua in salita; è contro natura).