Le capacità di governo di Draghi, la sua credibilità e pazienza sono un acquis. Nessun balletto di posizionamento, nessuno stucchevole retroscena possono chiamarlo in revoca. Siamo già in un’altra fase. Il discorso pronunciato a chiusura della Conferenza sull’Europa del futuro, a Strasburgo, rappresenta un programma politico strategico: è stata la proposta di una “riforma” urgente dell’Europa, l’indicazione dei doveri verso i cittadini e, insieme, del contributo che può dare alla riconfigurazione dell’ordine globale.
Da subito, per un decennio. Un progetto di fondazione che parte dall’emergenza securitaria, umanitaria e sanitaria affrontate insieme, ma indica i cambiamenti radicali e difficilissimi, da fare ora o mai più. L’emergenza è permanente e questo sconsiglia atteggiamenti unilaterali e rinvii. Le faticose risposte dell’oggi non possono restare appese. La guerra, la pandemia e le crisi, anche quelle sociali a venire, hanno dimostrato che si può reagire ma che, senza cambiamenti, l’Europa non può più essere utile ai suoi cittadini. Si tratta di costruire, qui ed ora, un federalismo pragmatico, animato da un federalismo dei valori.
- Nessun Paese può aver diritto di veto su difesa, immigrazione e sicurezza. La collaborazione sanitaria ed energetica deve far parte del programma.
- Bisogna trovare tempi e modalità sollecite per accogliere la collaborazione dei Paesi che vogliono entrare, senza paure, con regole chiare, mantenendo la fermezza della rule of law per i membri.
- Cosi si dovranno “adeguare” le politiche di bilancio alle situazioni nuove. Il resto è terreno di dialogo e costante armonizzazione.
Vaste programme? Sì, ma inevitabile e praticabile. Lo schieramento che va da Macron a Draghi, ed include la Germania di Sholz, è cospicuo. Sbagliano i “conservatori” che, come Giorgia Meloni, respingono questa prospettiva per dissimulare un sovranismo ormai superato dai fatti. Senza concertazione europea saremmo stati massacrati da pandemia e guerra, anche a “casa nostra” occorre andare avanti senza veti.
- Paesi come l’Ungheria non possono starsene sulla riva prendendo ciò che piace e bloccando il resto. Va rispettato un criterio di maggioranza sulle questioni strategiche.
- La Polonia ha diritto al sostegno sull’immigrazione e difesa, ma deve condividere lo stesso sostegno sul fronte sud.
- Tutte e due, come la Repubblica Ceca, debbono rispettare, oltre alle regole di rigore finanziario, la certezza del diritto, la separazione dei poteri ed i diritti di libertà.
Quel che si chiede per sé va rispettato da tutti. Naturalmente il rispetto per le regole vale anche per come usiamo noi il PNRR: governo, Regioni, cittadini. Non sprecare, realizzare, creare valore, ridurre il debito e rafforzare l’autonomia di tutti: energetica, infrastrutturale, tecnologica.
Lo sforzo nazionale ed europeo deve anche stabilire un nuovo equilibrio tra governo e rappresentanza. Dobbiamo concentrarci sui fondamentali (meno formaggio podolico e più impegno strategico).
La difesa dell’Europa non può essere solitaria o neo-sovranista: per questo il nuovo discorso europeo viene presentato alla vigilia del viaggio a Washington. Termini e tempi di questa riorganizzazione del mondo vanno concertati: né USA né Europa possono farcela da soli. Anzi, da soli si muore. La Nato dovrà rafforzarsi a Nord e a Sud; per proteggere e diversificare risorse, ma toccherà all’Europa impegnarsi per non lasciare il campo (a Sud) né ai mercenari russi, né ai terroristi e agli “Stati che influenzano il radicalismo islamico”. La sicurezza va affiancata ad una collaborazione multilaterale, basata su regole condivise tra Paesi democratici: efficace ed equilibrata per la crescita. Europa, Africa e Medio Oriente sono quadranti con diversi gradi di fibrillazione ed evoluzione, decisivi per l’Occidente e per il destino comune. Ideare un quadro di relazioni e di crescita sicuro e sostenibile è decisivo. A cos’altro dovrebbero servire governi, politica e cultura? Cos’altro dovrebbero “spiegare” ai cittadini se non la realtà di un comune destino, con le sue difficoltà? Senza crescere, senza ritrovare la via per gli indispensabili e non rinviabili cambiamenti sociali non parleremo né con il mondo né col nostro futuro e vivremo scivolando tra rassegnazione e disperazione.
La questione delle questioni rimane ancora quella cinese, le minacce di un nazionalismo rampante ed aggressivo, non solo tecnologico e commerciale, ma anche militare, riguardano paradossalmente sia l’espansionismo che il “fallimento autocratico”. La Via (semplicistica truffaldina) della Seta ha permesso, ipocritamente, ad un gigante intelligente e spietato di fare quel che nei Paesi europei non consentiamo nemmeno ad un allevatore di galline: dumping, iper-sfruttamento della manodopera, schiavitù del lavoro, sottomissione dittatoriale del mercato. La sfida cinese ha bisogno di impegni ed integrazione tra i Paesi e le democrazie aperte, i suoi limiti si manifesteranno nel tempo. Oggi il forte nazionalismo interno (in crescita sui social media) comincia ad indebolire le finalità mondiali del Dragone. Solo nel medio termine è possibile far recuperare spazio alla democrazia, ma non ci sono risposte semplici, solo programmi comuni con orizzonti chiari.
Articolo a cura di Massimo Micucci, Direttore Merco Italia