«Preferisce la pace o il condizionatore d’aria acceso?». Questa la risposta chiaramente polemica che ha dato Mario Draghi a un giornalista mercoledì 6 aprile, al termine del Consiglio dei Ministri. La crisi energetica in corso, sommata alle decisioni che l’Europa sta prendendo per non continuare ad arricchire la Russia, pagando le forniture di gas, hanno portato a un aumento vertiginoso dei prezzi del gas. Famiglie e imprese stanno vedendo già da un po’ cifre blu sulle proprie bollette. Nonostante il clima caldo in arrivo, le previsioni non sono rosee. Gli avvenimenti in atto stanno mettendo in luce il problema della dipendenza energetica dell’Italia per quanto riguarda i combustibili fossili.
Le importazioni
Innanzitutto, Draghi ha spiegato che abbiamo riserve di gas grazie a fornitori diversi dalla Russia fino alla fine di ottobre. Non sembra un dato molto confortante, in realtà. O l’Italia accelera sulla diversificazione delle fonti, sull’aumento della sua indipendenza dalle importazioni energia, o ci troveremo soltanto a procrastinare il problema – cosa che l’Italia è molto brava a fare, in termini energetici. Ad esempio, si parla di rinnovabili da anni, decenni. Ma siamo molto, molto indietro. Poiché, secondo l’UE, il gas è considerato fonte di sostegno alla transizione energetica – una fonte, in poche parole, non pulita quanto le rinnovabili, ma da utilizzare sul breve termine per accompagnare verso un completo passaggio a fonti pulite -, il consumo di gas è aumentato nel corso degli anni.
Ora, questo, ci si ritorce contro. È noto che la Russia fino ad ora ha fornito all’UE il 45% del gas, e l’Italia nel 2020 è stato il secondo Paese, dopo la Germania, per importazioni di gas naturale. Va da sé che l’Italia, sprovvisto anche del supporto di energia nucleare, come la Francia, dipende enormemente dalle importazioni estere.
I numeri della dipendenza energetica
Secondo il rapporto del 2021 Italy for climate della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in partnership con Enea e Ispra, l’Italia dipende al 77% dalle importazioni per soddisfare il proprio fabbisogno energetico. La dipendenza energetica si calcola sulla base del rapporto tra importazioni nette e disponibilità al netto delle scorte. A partire dal 2007, anno che registrava una dipendenza energetica dell’Italia all’83%, la percentuale si è abbassata fino ad arrivare al 75,8% nel 2014, il dato più basso mai registrato. Nel 2021, lo dicevamo prima, abbiamo toccato il 77% – peggiorando, in pratica. E se consideriamo anche che l’Italia, insieme a Germania e Francia, è il Paese europeo con il consumo di energia più alto, si capisce il peso enorme dell’Italia sull’intera Europa.
Aumentando l’uso delle rinnovabili, si ridurrebbe anche la dipendenza energetica, dal momento che le importazioni sono principalmente di petrolio, gas e carbone; dunque, combustibili fossili che in teoria dovremmo abbandonare.
Le forniture estere
La Russia, attualmente, è la nostra principale fonte di energia. Da questo derivano le preoccupazioni del taglio delle forniture previsto dall’UE come ulteriore sanzione per il proseguirsi dell’invasione. Italy for climate fornisce un quadro estremamente chiaro e per niente rassicurante sulla provenienza della nostra energia. Ben il 25% delle nostre importazioni di combustibili fossili dipende dalla Russia, seguita da Algeria (15%), Azerbaijan (13%), Libia (9%). Fra gli altri Paesi, figurano anche Iraq, Qatar, Arabia Saudita, Usa, Nigeria.
Il dato più rilevante, quello che riguarda il gas, è che solo il 4% della produzione è autonoma. Il 96% di gas è importato, e ben il 40% viene dalla Russia. Se tagliassimo, metaforicamente, i gasdotti, ci troveremmo in sostanza con la fornitura dimezzata.
Le scelte da fare, possibilmente etiche
Se riuscissimo a raggiungere gli obiettivi europei della riduzione delle emissioni gas serra, diminuiremmo drasticamente l’utilizzo di combustibili fossili e, di conseguenza, avremmo una maggiore dipendenza dall’estero. Secondo le stime di Italy for Climate, l’Italia al 2030 riuscirebbe a dipendere solo del 46% dalle importazioni, e ben il 54% della produzione, dunque la maggior parte, sarebbe nazionale.
Possiamo puntare su altri fornitori, ma su lungo periodo è più sicuro puntare su un aumento della nostra indipendenza. Guardando infatti ai vari Paesi fornitore, tranne gli Usa e la Nigeria, gli altri non sono noti per i loro valori democratici. Interessati da conflitti, guerre, e regimi autoritari, non possiamo sapere cosa ci riserverà il futuro. Non abbiamo certezza che non si verifichino situazioni analoghe.
Ben vengano le parole di Draghi, certo. Ma, eticamente, dare soldi alla Libia è effettivamente meglio che darli a Putin? Preferiamo la democrazia o il condizionatore?