Quando geopolitica, economia e cultura si intrecciano nasce, di norma, una Babele di tematiche enormemente complesse. Quella delle migrazioni (che è tornata con prepotenza alla ribalta dopo i disgraziati fatti afghani) non fa di certo eccezione. Non stupisce, dunque, che il leitmotiv che accompagna – a volte in sottofondo ma sempre presente – i nostri tg e giornali sia in qualche modo sempre connesso a quelli che sono universalmente conosciuti come “migranti”.
Che siano libici o afghani, le dichiarazioni – strillate, tweettate, postate – sono molteplici e, quasi sempre, semplici e semplicistiche. Intendiamoci, le immagini che arrivano quotidianamente nelle case italiane sono impietose, così come impietosi sono i numeri che certificano come il mare nostrum sia sempre più simile ad un cimitero: 1146 circa sono i migranti morti solo nel primo semestre del 2021 (516 nel 2020, stesso periodo, 674 nel 2019)[1]. E tuttavia ci sono molte considerazioni da fare che, seppure forse non “servano” a risolvere (termine del tutto inadeguato) il problema, quantomeno potrebbero aiutare nel mostrare come la “questione migranti” sia ben più sfaccettata rispetto alle narrazioni (quasi) quotidiane.
Una politica migratoria anticonformista
Nel 2016 si registrarono circa 4.700 morti nel Mediterraneo, nonostante la diminuzione degli sbarchi (anche per via dell’accordo con la Turchia di Erdogan)[2]; la situazione che ereditava Marco Minniti, che diventava Ministro dell’Interno nel Governo Gentiloni nel dicembre di quell’anno, non era certo tra le più rosee. Nell’intervista rilasciata al Welt, pubblicata il 17 settembre, lo stesso Minniti ha definito quella situazione «praticamente fuori controllo», considerando le 180 mila persone già arrivate in Italia e le 250 mila previste per il 2017 (furono poi circa 119 mila). E proprio nella metà del 2017, «13.500 persone sono arrivate in Italia in 36 ore – non su gommoni, ma con imbarcazioni di organizzazioni non governative e navi dell’operazione Sophia» (operazione militare di sicurezza marittima lanciata nel 2015 e sostituita nel 2020 dall’operazione Irini).
Discutiamo di un tipo di politica che non badava tanto alla distribuzione in Europa quanto a cosa fare in Africa per stabilizzare un contesto, quello libico, caotico e fragile. Il Paese, infatti, usciva con le ossa rotte dal periodo della guerra civile seguito alla morte di Gheddafi e, nonostante la presenza di un governo legittimo riconosciuto dalle Nazioni Unite, il potere dei trafficanti di esseri umani era talmente vasto da portare il governo italiano a dialogare con 13 sindaci delle città libiche più coinvolte. Il tema era «immettere buona moneta per scacciare la cattiva moneta» tramite investimenti in progetti di varia natura. Ma che ne è, oggi, di questi tentativi di stabilizzare la Libia? Il problema sta nel fatto che lo Stato libico è fortemente caratterizzato ora (come lo era ai tempi della guerra civile) dalla presenza di numerose milizie locali associate alle tribù – che per altro hanno avuto un ruolo fondamentale nel liberare Sirte dall’IS nel 2016. Ma che non si commetta l’errore di leggere “milizie libiche” come “milizie governative”. Seppure vi siano effettivamente milizie riconosciute dal governo che fanno parte del sistema di sicurezza libico, sta di fatto che le tribù e le loro milizie controllano ampie zone del Paese in modo più o meno indipendente. Il Governo italiano aveva rapporti esclusivamente con il riconosciuto Governo libico che, da par suo, doveva interfacciarsi con le numerose strutture tribali. Non estranee, per altro, a metodi brutali assimilati a quelli utilizzati nei lager nazisti. Sta di fatto che il tentativo di agire direttamente sul territorio (qualcuno ha detto “aiutarli a casa loro”?) è stato fatto; ma «tutto in Libia è più ambiguo e complicato di quanto sembri a prima vista». E allora si decise di optare per i corridoi umanitari, i primi, per impedire che in Europa fossero i trafficanti a portare le persone e non le democrazie. 50 milioni, europei, del tutto insufficienti; amministrazioni abbandonate e in balia, nuovamente, di trafficanti di esseri umani e tribù ancora una volta in guerra tra loro. E, come se non bastasse, in Libia è sempre più forte l’influenza di Mosca e Ankara. Con l’Europa che, ad ora, sta a guardare assieme agli USA (che devono anche fare i conti con quanto accaduto in Afghanistan).
E non è, allora, uno slogan di porti chiusi, aperti o accostati. Bisogna rivedere, più che la distribuzione dei migranti, su cui spesso in Europa ci si accapiglia, le strategie sul breve (a dicembre in Libia dovrebbero esserci le elezioni), medio e lungo periodo (con l’Occidente chiamato a gestire la crisi afghana e la presenza nel Mediterrano della Russia, senza dimenticare il problematico attore turco).
La storia si ripete
Ed è proprio la vicenda afghana a porsi come tragico specchio di quella libica. Da una parte, il fallimento dell’American Century inteso come quella visione di supremazia politica, economica e culturale statunitense; dall’altra, la cattiva gestione (ad essere gentili) di quei processi di democratizzazione avviati ma mai conclusi – come in Afghanistan, appunto. Ad un Occidente che da sempre si fa portatore ed esportatore di democrazia e civiltà restano un considerevole danno di immagine e difficoltà economiche, che si accompagnano ad un crescente senso di incertezza e paura dovute alla (nuovamente?) incombente minaccia del terrorismo internazionale e a nuovi flussi migratori da dover gestire.
Ci sono oltre 270 milioni di persone oggi (dato in continua crescita) che lavorano e vivono in un Paese diverso da quello di origine[3]. Se le considerassimo parte di uno Stato indipendente, diventerebbero il quinto Paese al mondo. Questo dato aiuta a rendersi conto dell’importanza del fenomeno; la gestione dei flussi migratori è un tema la cui centralità non può essere in discussione. Un fenomeno che esiste e che deve essere prioritario nell’agenda d’azione di ogni Paese, così come lo è diventato la sostenibilità.
Altra considerazione da fare è che spesso oggi associamo la questione immigrazione ai rifugiati politici e umanitari (che scappano da guerre, condizioni climatiche insostenibili, etc.), ma che rappresentano solo circa il 10% dei flussi migratori[4]. Il 90% sono migranti economici, a testimonianza che il tema vero è proprio la condizione economica nella quale si trovano queste persone nei loro Paesi di origine. Che poi è lo stesso fenomeno che si verificò nel mondo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, con milioni di migranti in ogni parte del mondo (compresi 13 milioni circa di Italiani che emigrarono in Europa e oltreoceano). Prendere spunto dal metodo Minniti, da un lato; e, dall’altro, sostenere e incentivare iniziative come la Via della Seta cinese, che prevede investimenti di 900 miliardi di dollari in 65 paesi[5], di cui molti sono all’origine dei flussi migratori, potrebbe essere uno degli approcci possibili.
Un’opportunità per l’Europa
A dispetto di quanto sostenuto da demagogismi di vario colore, è evidente che non può esistere una soluzione semplice e univoca ad un problema complesso come quello dei flussi migratori. Se, da un lato, Minniti (in riferimento alla situazione Africana) ritiene che «tutto ciò che è legale deve essere sostenuto. Tutto ciò che è illegale deve essere combattuto. Questo significa aprire canali legali per arrivare in Europa», dall’altro il tema è diventato un ottimo strumento di propaganda politica ma forse è giunto il momento di affrontarlo con un pizzico di serietà e cognizione di causa.
Una cosa è certa: anche alla luce del declino reputazionale statunitense dopo la vicenda afghana, l’Europa ha un’opportunità, con una strategia di gestione del fenomeno migratorio intelligente, di diventare nuovamente protagonista.
Articolo a cura di Luigi Santoro e Manuela Scognamiglio
[1]https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2021/07/14/oim-raddoppiato-nel-2021-il-numero-dei-migranti-morti-in-mare_88f428cc-f036-4727-b905-50b2ee7fea00.html
[2] https://openmigration.org/analisi/i-morti-in-mare-nel-2016-mai-cosi-tanti-nel-mediterraneo/
[3] https://www.ansa.it/ansa2030/notizie/asvis/2020/09/21/il-mondo-in-movimento-oltre-300-milioni-di-migranti-entro-il-2030_5756dce2-9f79-4a4f-a313-9481cb1a0af1.html
[4]https://www.unhcr.org/it/risorse/statistiche/
[5]https://am.pictet/it/blog/articoli/mercati-e-investimenti/la-nuova-via-della-seta-il-progetto-cinese-e-i-dubbi-europei