Domani, sollievo generale, inizia il silenzio elettorale. Bene, diranno alcuni. Chi se ne frega, diranno altri. Qualcuno si accorgerà della beffa, del paradosso, del controsenso del silenzio elettorale italiano. Vediamo cosa dice la legge, un po’ vecchiotta.
Una legge di quasi settant’anni fa
“Nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi e le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, nonché la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri o manifesti di propaganda o l’applicazione di striscioni, drappi o impianti luminosi. Nei giorni destinati alla votazione è vietata, altresì, ogni propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall’ingresso delle sezioni elettorali”.
Così recita l’articolo 9 della legge 212 del 4 aprile 1956, dedicato appunto a quello che si definisce “silenzio elettorale” oppure “periodo di blackout”. La legge è di ben 66 anni fa, ed è stata aggiornata tenendo conto degli avanzamenti tecnologici solo nel 1984, per aggiungere che “nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni è fatto divieto anche alle emittenti radiotelevisive private di diffondere propaganda elettorale”. Giustamente. Ci si aspetterebbe però, un’ulteriore modifica del testo per stare al passo coi tempi. E invece no. Nessun accenno a internet, e tanto meno ai social network.
In occasione delle elezioni politiche del 2018, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), la stessa che disciplina la par condicio, ha diffuso delle linee guida sull’uso delle piattaforme online. L’articolo che ci interessa è il 5, che dice sarebbe “ auspicabile che anche sulle piattaforme in questi due giorni fosse evitata, da parte dei soggetti politici, ogni forma di propaganda, per evitare di influenzare con pressioni indebite l’elettorato ancora indeciso“. Ma non è una legge, è un “auspicio“, appunto, che lascia il tempo che trova.
Ormai lo spazio preferito dai politici per fare la propria campagna elettorale sono i social network, che vantano un bacino d’utenza decisamente più ampio di quello della televisione o dei manifesti elettorali. Per dire, di manifesti elettorali ne sono stati messi pochissimi quest’anno, se avete notato. E pure i comizi non sono stati proprio affollati. Anche quello conclusivo del centrodestra a Roma non ha fatto il pienone, nonostante sia la coalizione favorita. E non è certamente casuale che la piazza favorita dei partiti, quest’anno, sia stata Piazza del Popolo, di certo più contenuta della ben più ampia Piazza di San Giovanni che, naturalmente, avrebbe creato molti più spazi vuoti.
La ratio del silenzio
Rispettare il silenzio elettorale anche sui social è in sostanza una scelta del partito o del candidato, dettata da presunta superiorità morale – una potenziale mossa politica pure questa. Come a voler sottolineare “Avete visto? Io non voglio invadere il vostro spazio personale”, anche se ho sponsorizzato Facebook per centinaia di euro fino a ieri.
Tornando a noi. Qual è la ratio della legge? La ratio è che il cittadino abbia una manciata di ore per riflettere senza essere bombardato da slogan – opinabile. I cittadini sono bombardati per settimane, un giorno in più o in meno ha davvero un peso?
Alcuni Paesi, come Spagna e Francia, sono allineati all’Italia – in Spagna si parla di “jornada de reflexión” e in Francia è specificato, coerentemente, anche il divieto di utilizzo di internet per diffondere messaggi di propaganda elettorale. Alcuni Paesi, d’altra parte, ritengono che il silenzio elettorale sia lesivo della libertà d’espressione. Negli Stati Uniti, è vietata la propaganda solo in un’area limitata nei pressi dei seggi elettorali.
Nella piazza fisica no, in quella virtuale sì
A parte le opinioni sulle opportunità della legge in sé, ha senso non aggiornarla ulteriormente tenendo conto anche, quanto meno, dei social network? Tanto più che internet, grazie agli smartphone, è ben più pervasivo della televisione. E non solo per le nuove generazioni.
Insomma, sembra una presa in giro sotto più punti di vista. In Italia, fra l’altro, la pena per il mancato rispetto non è un granché – una sanzione amministrativa fra i 100 e i 1000 euro, una cifra decisamente irrisoria – e che comunque difficilmente viene applicata.
Soprattutto negli ultimi anni, poi, le campagne elettorali sui social network sono diventate prioritarie per partiti e candidati. Nessun social è esentato da card, call to action, foto di comizi, messaggi politici. Nemmeno TikTok è stato risparmiato, in queste anomale elezioni autunnali. Già frequentato da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, è stato raggiunto gradualmente dai leader degli altri partiti – compreso Silvio Berlusconi, che ha spopolato ed i suoi video sono diventati virali.
Soprattutto ai più giovani, non è sfuggito l’effetto straniante, “cringe”, dell’approdo dei politici su TikTok, tipicamente social dei giovanissimi (che neanche votano, fra l’altro), che ha avuto una forte crescita negli ultimi anni. I politici su TikTok si sono dimostrati spesso goffi, oppure lo hanno utilizzato per diffondere video analoghi a quelli delle Story di Instagram – di fatto utilizzandolo male.
Potenzialmente, potremo vedere su Instagram, Facebook, Twitter, TikTok, centinaia di messaggi “Votate PD/FdI/FI ecc”, dal momento in cui ci svegliamo sabato 24 settembre al momento in cui entriamo nel seggio elettorale. Ma non in TV.