Nel mondo dell’energia la corsa all’aumento dei prezzi non sembra fermarsi: petrolio, gas naturale, nucleare, elettricità; non c’è risorsa che venga risparmiata. Il global energy crunch, così definito dagli analisti finanziari, rischia di scompaginare definitivamente i piani invernali e di riflesso la ripresa economica.
Alla base di questa crisi, per certi versi sistemica, del mondo dell’energia, esistono diversi fattori. Indubbiamente la pandemia ha offerto un decisivo contributo. Guardando però più da vicino, emergono altri aspetti che aiutano a comprendere e spiegare quanto sta accadendo. È innanzitutto una visione prospettica quella che sta fallendo, così come ammonisce l’economista Alberto Clô, nulla di quanto sta accadendo non era prevedibile, ma frutto di precise scelte politiche.
Dal gas al Nord Stream 2
In primo luogo la decisione di insistere su politiche green e rinnovabili, decretando il superamento degli idrocarburi – senza che possa essere economicamente sostenibile – sta avendo come risultante:
1) lo stoccaggio di gas ai minimi da 10 anni, svuotato dalla forte domanda ed esacerbato dalla produzione di energie rinnovabili relativamente debole;
2) le pesanti oscillazioni verso l’alto del Brent – mai così alte da 3 anni – con previsioni di ulteriori rialzi entro i prossimi 6/8 mesi;
3) in un circolo vizioso, questi aumenti hanno come effetto collaterale l’aumento dei permessi ETS.
In secondo luogo, le reiterate incertezze e ambiguità dell’Unione Europea nel rapporto con la Russia – vero dominus del gas naturale – non fanno altro che aumentarne il potere negoziale. In questo contesto non basterà la richiesta dell’IEA, visto e considerato che Gazprom sta adempiendo ai suoi obblighi contrattuali e le pressioni indirette per l’entrata in funzione del Nord Stream 2 non hanno ancora dato i propri frutti. Nel grande gioco, gli Stati Uniti – egemonicamente interessati alla partita europea e pesantemente danneggiati dall’uragano Ida – sono in continua trattativa con l’Iran sul nucleare, il cui buon esito potrebbe significare un’ampia di disponibilità di petrolio sul mercato.
Dalla Cina, aspettando la COP26
In questa crisi, come protagonista, è entrata anche la Cina. La carenza di carbone ha comportato diverse interruzioni delle attività industriali e un forte razionamento dell’elettricità per la cittadinanza. Anche qui, come nel resto del mondo, le scelte politiche sono decisive: la volontà da parte di Xi Jinping di abbracciare il green si è tradotta in una drastica riduzione della disponibilità di carbone, la cui importazione è stata vietata dall’Australia – recentemente al centro dell’accordo Aukus, proprio con importanti riflessi cinesi – in altri tempi primo fornitore.
L’attuale crisi dei prezzi sembra dimostrarci che i decisori pubblici trascurino i riflessi economici e geopolitici delle scelte, spesso discutibili, di politica energetica. Il 6 ottobre, al summit Ue-Balcani, la Commissione europea presenterà una proposta contro il caro-prezzi dovuto all’aumento dei costi dell’energia in tutto il Continente. Come spesso capita, anche in vista della COP26, il risultato rischia di essere un compromesso indigesto tra buone intenzioni e palliativi economici, mentre nel portafoglio dei cittadini e nei conti delle imprese rischiano di aprirsi ulteriori voragini post-pandemiche.
Le pervicaci ottusità energetiche e il conformismo ecologista dei blah blah blah non scalderanno il nostro inverno.