domenica, 04 Giugno 2023

IL CIBO E I CITTADINI OTTIMISTI

Da non perdere

IL CIBO E I CITTADINI OTTIMISTI
di cosa parliamo quando parliamo di agricoltura?

[vc_tta_accordion style=”flat” shape=”square” color=”white” gap=”2″ c_icon=”chevron” active_section=”1″][vc_tta_section title=”Episodio 1 – Il cibo e i cittadini ottimisti ” tab_id=”1497600562834-33caba52-c356″]
tempo di lettura: 2 minuti

 Come si comportano i cittadini nei confronti del cibo? Di certo è possibile intravedere una tendenza: una buona parte dei consumatori (sempre più diffusa, convinta ed estesa), appare interessata alla qualità e ai modi in cui questo viene prodotto. Assaporano il presente ma sono anche proiettati verso il futuro, e in questo frangente si dimostrano ottimisti, ovvero: sentono che, qui e ora, sia possibile, auspicabile, nonché giusto, utile, combattere per un’agricoltura sostenibile, cioè, promuovere quelle pratiche agricole che limitano i costi (meno agrofarmaci, meno consumo di suolo, meno acqua). Anche perché sanno, o intuiscono, che  nel futuro ci sarà da produrre cibo sano e gustoso per 9 miliardi e passa di cittadini del mondo. 

Una buona parte dei cittadini, si dimostra dunque ottimista e propositiva, ed è attratta da quelle pratiche agricole comunemente dette “bio” (il corretto gergo tecnico è, in realtà, “organico”). Se questa convinzione è certamente necessaria per affrontare (con sano ottimismo) il discorso agricolo, resta tuttavia da chiedersi se questa necessaria premessa sia anche sufficiente. Comunque, per definire meglio la premessa possiamo domandarci: se gli obiettivi promossi da alcune pratiche agricole bio (fanno leva sì sull’emotività) sono certamente giuste, gli strumenti (l’apparato tecnico/agronomico) per realizzarli sono, invece, razionali?
Per rispondere è necessario prima inquadrare la domanda, dunque delineare il quadro di insieme: di cosa parliamo quando parliamo di agricoltura?

La millenaria (e noiosa) storia dell’agricoltura trova secondo lo storico e premio Nobel per l’economia, Robert W. Fogel, il suo abbrivio nei primi anni del 900, quando affrontiamo, finalmente, di petto, le tre parole che hanno reso, appunto, noiosa (e tragica) la millenaria storia dell’agricoltura: la fame, la carestia e la malattia. Nel suo libro: Fuga dalla fame, Europa, America e Terzo Mondo (1700-2100), edizioni Vita e Pensiero, Fogel, racconta (con uno straordinario uso di strumenti statistici) perché il Novecento è stato un secolo meraviglioso. L’aggettivo sembra stonato (il Novecento? due guerre mondiali e un genocidio), eppure Fogel insiste e anzi con chiarezza ripropone l’aggettivo: meraviglioso! Sì, perché abbiamo sconfitto la fame, la malattia e la carestia.

[/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Episodio 2 – La millenaria storia dell’agricoltura” tab_id=”1497600562903-34e1e0f8-41c8″]
Tempo di lettura: 2,30 minuti

In età romana, quindi duemila anni fa, un agricoltore arrivava a produrre (in termini di resa media)  una tonnellata di frumento per ettaro. L’associazione è facile: un ettaro, una tonnellata. 

Come cambia questa cifra nel corso dei millenni? Sfogliamo dunque le pagine della storia fissando la nostra attenzione su alcune date simboliche. 

Caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.)? Resa media? Una tonnellata. 

Saltiamo le invasioni barbariche, con i massacri, i saccheggi e le epidemie che indussero le popolazioni ad abbandonare i centri urbani rifugiandosi nelle più sicure periferie – per esempio nella laguna veneta, dove confluirono gli abitanti di intere zone del Nord ormai divenute inabitabili, fondando Venezia, Chioggia, Burano, Torcello e Grado. Saltiamo dunque tutto questo e arriviamo direttamente all’unificazione delle due Italie, quella longobarda e quella bizantina, ad opera di CarloMagno re dei Franchi (800 d.C.). In quegli anni, in cui tra le due Italie cominciava a trovare spazio una terza, quella della Chiesa, dei vescovati e delle abbazie benedettine, la resa media del frumento si aggirava ancora attorno alla tonnellata per ettaro. 

Se andiamo rapidamente avanti, saltando la stagione che va dal 980 al 1420 d.C. quella che Georges Duby articola in tre fasi identificate dal loro edificio simbolo: l’epoca dei monasteri (980-1130), quella delle cattedrali (1130-1280) e quella dei palazzi (1280-1420), che vede l’affermarsi dei principati capitalistico-mercantili – per arrivare direttamente al Rinascimento, notiamo che pur con tutte le meravigliose opere d’arte e le macchine d’ingegno di Leonardo da Vinci, la resa dei frumenti è ancora ferma a una tonnellata. 

Stessa cosa durante l’Illuminismo, mentre Diderot, D’Alembert e Voltaire scrivevano la loro Enciclopedia? Sempre una tonnellata. Nell’Ottocento? Primi sussulti del Romanticismo, socialismo, guerre di indipendenza: sempre una tonnellata. La verità è che la produzione dei cereali comincia a crescere e accelerare solo nella seconda metà nel Novecento. 

Perché? Perché arrivano le grandi innovazioni tecnologiche in agricoltura.

Non che prima non ci fossero state innovazioni. Tra queste vanno annoverate la selezione di semi più produttivi, l’importazione di nuove specie dal Nuovo Mondo, l’invenzione di aratri con lama di metallo molto più efficienti e di bardature che sfruttavano meglio la forza degli animali, l’introduzione del cavallo da tiro e la selezione di razze particolarmente robuste, l’adozione di sistemi di coltivazione che prevedevano la rotazione triennale, l’impiego di concimi naturali, come il letame. Ma sebbene un miglioramento ci fosse stato – in sintesi, in età romana da un ettaro di terra si ottenevano prodotti a sufficienza per mantenere una persona per un anno, mentre alla fine del XVIII secolo, in Gran Bretagna, un ettaro di terra bastava a mantenere dieci persone in un anno – questo miglioramento non alterava la resa sopra riportata: un ettaro/una tonnellata. 

[/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Episodio 3 – La rivoluzione verde: il secolo meraviglioso” tab_id=”1497699922449-3235c6b7-f9e4″]
Tempo di lettura: 2 minuti

È stata dunque la rivoluzione verde (concimi di sintesi, agrofarmaci, miglioramento genetico ecc.) a cambiare tutto. 

Se non difendiamo la pianta, la pianta viene predata dagli insetti, se non nutriamo la pianta con concimi, la pianta non raggiunge alcuni standard, se non diserbiamo dobbiamo zappare per far fuori le malerbe (o mondare il riso) se non miglioriamo le piante non riusciamo a promuovere qualità e quantità. 

Quali benefici? Quali costi? 

Sui benefici Fogel è molto chiaro: meraviglioso! La scomparsa della fame, delle malattie (a questa legate) e delle carestie, tre parole che hanno funestato la storia della nostra specie. Da qui, infatti, ecco l’aumento esponenziale della popolazione. Un miliardo di persone nell’ottocento, due miliardi nel 1924, tre miliardi nel 1960, 4 miliardi nel 1974, 5 miliardi nel 1987, 6 miliardi nel 1999 e nell’ottobre del 2010 abbiamo dato simbolicamente il benvenuto alla bambina del Bangladesh che porta il conto a sette miliardi – ora siamo intorno a 7,5. Dei sette e passa miliardi, 750 milioni soffrono la fame – ma ci siamo posti un obiettivo ambizioso e ottimista, nonché razionale, portare entro pochi anni questo numero a zero. 

L’aspettativa di vita si è alzata (un corpo meglio nutrito è anche un corpo più sano, con un apparato immunitario più forte).

(Grafico di Fogel, correlazione tra innovazione tecnologica e aumento demografico)

È una grande, meravigliosa storia, che in pochi si sono presi la briga di raccontare.
Nonostante l’ottimismo, non possiamo sottovalutare i costi: inquinamento falde, uso eccessivo di agrofarmaci, consumo del suolo (inteso come strato arabili, dunque utilizzabile, del terreno) e altri. 

I suddetti costi sono noti a tutti i tecnici e da anni la ricerca sta tentando di offrire delle soluzioni. Quest’ultime vanno analizzate e testate, caso per caso, e non solo propagandate come una religione. 

 
[/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Episodio 4 – Torniamo alla domanda: allora, la questione bio? ” tab_id=”1498032274853-d5c6f1e0-0280″]

Tendiamo (emotivamente) a preferire il cibo naturale e guardiamo con simpatia a quel metodo di produzione detto agricoltura “biologica”.  Questo metodo è il benvenuto, soprattutto perché funziona da pungolo ottimista: diciamoci da fare, non fermiamoci, produciamo con meno inquinamento. 

Eppure affinché l’ottimismo ci orienti nella giusta direzione, siamo obbligati, razionalmente, a chiederci: dal punto di vista  tecnico/agronomico, le pratiche dell’agricoltura bio sono una religione o sono strumenti sottoposti a verifiche? 

Sappiamo che purtroppo le piante e i loro frutti piacciono a noi e anche ai patogeni. Quindi è necessario combatterli. Non è possibile non proteggere la pianta con agrofarmaci, prima o poi i patogeni arrivano.

Dunque anche nel bio usiamo insetticidi: agrofarmaci naturali, ovvero non sintetici. Allora, domanda: i suddetti agrofarmaci, cioè quelli ammessi nei protocolli bio sono tutti bio? 

Prendiamo ad esempio, il piretro. È ricavato da due piante (entrambe con ottima attività insetticida), il Tanacetum cinerariifolium o crisantemo di Dalmazia e Tanacetum coccineum o Crisantemo di Persia. I piretroidi non hanno azione sugli animali a sangue caldo – vengono usati per il trattamento delle pulci nei cani, mentre i gatti sono sensibili al piretro. Ma suvvia, ora siamo (razionalmente) coraggiosi, poniamoci una domanda tecnica, dove vengono prodotti i piretroidi e come? Per il 60% si producono in Tanzania, poi in Papuasia Nuova Guinea ed in Kenia. Occorrono 52.000 piante per ottenere 25 kg di polvere secca, quindi spesso, per ottenere quantità soddisfacenti, le piante si coltivano con sesti di impianto e tecniche intensive. Purtroppo anche il crisantemo è attaccato da parassiti. E qui, vengono fuori alcune contraddizioni. Uno studio australiano ci dice che sia in Tanzania sia in Papuasia per difendere la coltivazione si usano agrofarmaci di sintesi e tra l’altro i più tossici. Quindi per salvare l’insetticida bio si usano prodotti non bio.

Tempo di lettura: 2 minuti
[/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Episodio 5 – Il paradosso del Kenya” tab_id=”1498221994876-c9cb60a7-725a”]
Tempo di lettura: 2 minuti

Il fatto è che quando vediamo un insetticida sulla cui etichetta campeggia la scritta a caratteri cubitali “naturale” e sotto l’immagine di un crisantemo (da cui si ricava il piretro), la nostra emozione cresce doppiamente: che bello uccidere gli insetti in maniera naturale e senza usare la chimica (appunto è naturale). Suggestionati come siamo, compriamo bio a man bassa, senza chiederci come vengono prodotti quei crisantemi. 

Analizziamo il paradosso Kenya. Fino al 2000, gli agricoltori kenioti esportavano il 95% della loro produzione di polvere di piretro (insetticida “naturale” che si ricava da alcune composite, come il crisantemo) verso i paesi sviluppati, perché qui da noi, il benessere ci permette di dedicare più tempo e soldi al cibo. Appunto, fino al 2000.

Poi l’esportazione è scesa al 5%. Perché? Perché non basta dire bio. Ci sono stati tanti problemi di coltivazione (grande irregolarità nelle rese). Tanto è vero che un documento keniano di HighChem Agriculture, un organismo di agro fornitura, ha consigliato l’uso di ben tre insetticidi di sintesi: il carbaril (un carbammato proibito in EU dal 2006), il dioxation (un estere fosforico interdetto in EU dal 2002) e l’alfacipermetrina (che è un piretroide di sintesi, stessa molecola ma prodotta dall’industria, un piretroide per produrre piretro).

Quindi insetticidi da noi proibiti per produrre un insetticida naturale. Poi, altro paradosso: col ricavato della vendita gli agricoltori kenioti acquistano, sempre sui nostri mercati, altri fitofarmaci di sintesi. Lo fanno, e giustamente,  per proteggere le loro coltivazioni alimentari, ma attenzione, anche qui, comprano agrofarmaci sì meno costosi ma più tossici. 

[/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Episodio 6 – Altri agrofarmaci naturali, in breve” tab_id=”1498574784570-6a1992e7-efeb”]
Tempo di lettura: 2 minuti

Il rame, per esempio. Nei musei di storia naturale si trovano le pietre che contengono rame, la calcantite. Purtroppo ancorché naturale non possiamo prendere la suddetta calcantite, riporla in campo e sperare che quest’ultima per azione magica combatta i funghi. 

Il rame bisogna produrlo: il solfato di rame. Ci vuole un’industria vera e propria. Una qualunque Garzantina illustrerà la complessa produzione di rame (si fa reagire l’acido solforico su trucioli di rame). 

Anche la calce adoperata per preparare la famosa (e mitica) poltiglia baldolese necessita di stabilimenti chimici: senza forni ad alta temperatura come fai a produrla? 

Infine lo zolfo? Per fortuna non si ricava più (per la maggior parte) dalle miniere. Si usano i combustibili fossili, il processo si chiama desolforazione. Ci vuole una raffineria.

Le pratiche bio, qualora si dovessero estesamente diffondere avranno bisogno di industrie e multinazionali di supporto.

Questo ragionamento lo potete applicare anche ad altre pratiche agronomiche preferite dal bio, come per esempio l’uso del letame. Consigliatissimo, sostanza ammendante e dalle molteplici proprietà benefiche. Il letame lo producono, in genere, le vacche. Contiene micro e macro elementi, tra cui fosforo, potassio e azoto (poco purtroppo, ci vogliano tonnellate di letame per far nascere i fiori). Attenzione, quest’ultimo non è sintetizzato nei 4 stomaci dei bovini. Purtroppo non sono azotofissatori. Il letame contiene azoto se le piante, quelle che i bovini ingeriscono, sono a loro volta ricche di azoto. Se non sono leguminose (sappiamo che fissano l’azoto con l’aiuto di alcuni ceppi batterici) vuol dire che l’azoto contenuto è quello che noi gli abbiamo dato con i concimi chimici. Cioè, i bovini potrebbero coniare uno slogan: la mia cacca non è gratis. Anche qui, per concludere, un buon letame, ricco di azoto, può provenire (se non si adottano rotazioni su larga scala) dai concimi di sintesi.

Dobbiamo dunque abbandonare il bio? Giammai, anzi, rilanciamo.

[/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Episodio 7 – Rilanciare: scegliere il bio 4.0. Più ottimista e più razionale” tab_id=”1498833928154-8a3abad7-792b”]
Tempo di lettura: 3 minuti

Ci sono molte tecniche, nuovissime e promettenti, magari meno suggestive ma di sicuro più efficaci. Alcune sono legate alla biotecnologia, come l’editing genomico (leggiamo il DNA di una pianta e cerchiamo quei caratteri utili da potenziare o quelli nocivi da eliminare) – ne parla con grande sapienza narrativa e divulgativa il bel libro di Anna Meldolesi: E l’uomo creò l’uomo (Bollati Boringhieri). Altre sono procedure integrate (più metodologie che lavorano insieme). Tutto questo per dire che l’obiettivo che fonda l’agricoltura biologica è più che mai vivo. Si tratta di essere ottimisti e razionali. 

Pensate per esempio all’agricoltura di precisione. Cos’è? Esempio: prendete un televisore con maxi schermo. Vedete l’immagine, e magari, in generale, vi sembra buona, eppure, a consuntivo, trovate delle sorprese: ci sono un sacco di elementi critici (che so, il nostro schermo consuma troppo, le prestazioni rallentano quando meno ve l’aspettate, sfocature, increspature ecc.) ma non riuscite a capire dove sono. Se invece scomponete lo schermo in singoli pixel, allora sarà più facile individuare l’elemento critico. Allora, nell’ottica dell’agricoltura di precisione, grande e piccolo non sono nemici, ma gemelli eterozigoti, appartengono alla stessa famiglia. Come per far funzionare bene un maxi schermo è necessario controllare i singoli pixel, così una azienda agricola con ampia superficie deve concentrarsi sul piccolo.

L’agricoltura di precisione consente di smontare il campo in micro campi. Ogni pixel, cioè, ogni mq di terreno, viene mappato (quanto azoto? E fosforo, potassio? Ci sono falde acquifere, elementi podologici che creano condizioni critiche?), sia dall’alto (con satelliti, droni) sia dal basso (con altri tipi di sensori). Alla fine integrando i dati vengono fuori bellissime mappe colorate. Possiamo vedere in quale micro campo si produce di più (e capire il perché), in quale micro campo di meno (e capire il perché). Seconda novità: con l’agricoltura di precisione, posso risparmiare, e tanto anche.

Che senso ha mettere la stessa quota di azoto in tutto il campo se in un punto i sensori mi segnalano la giusta presenza di azoto? E, scusate il bisticcio, per far capire la precisione dell’agricoltura di precisione, se mi accorgo che in determinati settori del campo, che so, il terreno è più compatto (dunque meno ospitale) causa calpestio macchine (magari l’angolo di sterzata è troppo ampio), posso far leggere la cartografia completa del mio campo al satellite e teleguidare con precisione millimetrica la macchina (una seminatrice, una concimatrice) affinché non calpesti quei settori del campo.

Si sprecano gli esempi in questo campo: posso intervenire con agrofarmaci solo se l’attacco è sopra una certa soglia critica, risparmiando sui costi (e sulla chimica). Posso settare le macchine affinché queste si adeguino alle reali condizioni del campo, che si sa sono mutevoli e cangianti, variano da pixel a pixel, da mq a mq. Sono esempi e sono anche pratiche che cominciano a dare buoni risultati. Nascono dall’impegno e dalla costanza, da quell’ottimismo/razionale, che l’uomo possiede quando decide di lasciare le suggestioni mistiche e passare alla verifica pratica. 

[/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Per approfondire” tab_id=”1498834071647-b1d2f88d-2bad”]

L’ottimo sito – e in Italia unico nel suo genere – Agrarian Sciences offre puntuali e competenti commenti sull’agricoltura e soprattutto analisi serie: insomma dati e numeri e non aggettivi. Qui l’agronomo Alberto Guidorzi racconta alcune contraddizioni delle pratiche bio.

La passione per l’agricoltura  e le analisi caso per caso innervano il sottocitato sito, in tre lingue, Agricoltura, alimentazione e ambiente, di Christophe Bouchet

Diseases of Pyrethrum in Tasmania: Challenges and Prospects for Management, uno studio su alcune malattie delle composite in Tasmania, piante da cui ricaviamo il piretro.

Interessantissimo e poco noto report da cui si evince che: il 97,4% dei campioni analizzati in agricoltura convenzionale o non presentano residui o li presentano sotto la soglia legale

[/vc_tta_section][/vc_tta_accordion]

- Advertisement -spot_img

Talk For

F&NEWS