domenica, 04 Giugno 2023

Il Brasile che vuole ma non può innovarsi

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“Da qualche parte nel Ventesimo Secolo», nel film “Brazil” (1985), Robert de Niro-Archibald “Harry” Tuttle, faceva saltare il Ministero dei Burocrati. In quell’opera cult distopica, di brasiliano c’era solo la canzone Aquarela do Brasil.
Nel Brasile di oggi è stato proprio un ”burocrate”, l’economista e presidente dell’ANATEL (Autorità Nazionale delle Telecomunicazioni) Leonardo Morais, ad investire il Parlamento chiedendo di far saltare le regole burocratiche che finora hanno “bloccato”, o “protetto” secondo alcuni, l’industria nazionale delle telecomunicazioni, quella della Tv a pagamento, che però vive un costante calo di abbonamenti e (a seconda dei punti di vista) quella dei contenuti. In un mercato vastissimo e, da sempre, molto dinamico e conteso, il Brasile è ai primi posti nell’uso delle tecnologie di rete.
Le regole da aggiornare nascono in anni lontani, quando il paese delle telenovelas degli anni 70-80 aveva conquistato il mercato interno e continentale, inventando la soap opera e riuscendo, con un nuova “narrativa”, a colonizzare la piattaforma globale del tempo: la TV.
Negli anni successivi è stata “brasiliana” anche una delle vicende più interessanti delle telecomunicazioni. Licenze fisse e mobili hanno attratto colossi local e global come il multi-imprenditore, multi-miliardario messicano Carlos Slim. Impegnando tanti investitori provenienti da ogni parte del mondo (soprattutto Italia, Spagna e Messico) in lunghe competizioni, successi e fallimenti, con intrecci regolatori complessi, per un mercato da 300 milioni di utenti. Dopo una fase di espansione e crisi, in una alternanza di protezioni e aperture, e dopo il terremoto politico Bolsonaro, reti, servizi e contenuti, non potevano che re-incontrarsi.
Troppi conflitti e contenziosi, anche secondo ANATEL, hanno ingessato il sistema allontanando i consumatori dalle modalità contemporanee del mercato.
Il regolatore ha posto al Parlamento l’esigenza di modificare la “legge che vieta la proprietà incrociata (considerandola) una disparità di trattamento per i diversi concorrenti del mercato”. Secondo ANATEL “Oltre ad aver già superato la sua utilità, una tale barriera crea oggi condizioni per un trattamento non isonomico tra le aziende e ostacola l’emergere di nuovi modelli di business e innovazione nel settore, a scapito dei consumatori di servizi”. Il parlamento ha esaminato, prima insieme e poi separatamente, la riforma delle reti e delle concessioni, rinviando finora quella che riguarda la TV a pagamento
Nel primo caso il cambiamento si è avviato aumentando le possibilità di estensione delle concessioni e riducendo gli obblighi verso lo stato, sotto controllo dell’autorità indipendente.
Si creano così le condizioni per nuove acquisizioni, consolidamenti e soprattutto per gli investimenti nelle nuove tecnologie, come il 5G, e nelle nuove reti di trasporto.
Il fronte più discusso resta quello che impedisce ai produttori di contenuti di essere anche provider degli stessi (anche su piattaforme diversificate). La questione ha visto opposti gli incumbent della TV Paga Globo e Claro, da un lato, e Sky Brasil (parte di WarnerMedia di AT&T). Il sistema attuale limita l’espansione della domanda, la libertà di scelta del consumatore, riduce la diversificazione dell’offerta, e naturalmente l’investimento delle piattaforme integrate (content provider e content producer). Si obbliga la separazione per modalità (internet, cavo o radiofrequenze), favorendo consumi alternativi e illegali.
Se il punto di riferimento sono gli utenti consumatori ormai liberi di scegliere i contenuti indipendentemente dalle piattaforme, perché mai limitare queste ultime a danno dei primi? Del resto gran parte dei ritorni delle società che investiranno in nuove tecnologie di rete (diversamente integrate), piccole e grandi, locali e mondiali dipende molto dall’allargamento, dalla creatività e pervasività dell’offerta di contenuti.

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