domenica, 04 Giugno 2023

I robot stanno ripulendo il sito di Fukushima. Ma la strada è ancora lunga

Da non perdere

La notte prima della missione, Kenji Matsuzaki non riuscì a dormire. Per più di un anno, Matsuzaki e un team di ingegneri avevano sviluppato un loro piccolo robot: una macchina rossa e bianca, delle dimensioni di una pagnotta, dotata di cinque eliche, una cupola trasparente, videocamere anteriori e posteriori e una serie di luci e sensori.

Soprannominata Little Sunfish, era stata progettata per operare sott’acqua, nel buio più totale, tra intense radiazioni. E dopo tre mesi di test, addestramento e messa a punto, era stata ritenuta pronta a compiere la sua missione: trovare e fotografare il combustibile radioattivo fuso, scomparso all’interno della centrale nucleare di Fukushima Daiichi.

Erano passati più di sei anni da quando un terremoto e uno tsunami avevano colpito il Giappone nord-orientale e ridotto l’impianto di Fukushima in rovine radioattive. In tutto quel tempo, nessuno era stato in grado di localizzare le centinaia di tonnellate di carburante che all’interno dei tre reattori avevano subito crolli del nucleo.

Il combustibile di uranio si era surriscaldato, trasformato in lava ed era bruciato all’interno del suo contenitore d’acciaio. E questo era noto. Ma cosa era successo dopo? Tutto il carburante era fuoriuscito dai reattori, o al loro interno c’è n’era ancora? Si era accumulato in un mucchio, sparso in una pozzanghera, era schizzato sulle pareti? Senza conoscere le risposte a queste domande, era quasi impossibile escogitare un piano per sbarazzarsene. E liberarsene è un imperativo. Ogni giorno, 165 tonnellate di acque sotterranee penetrano nei reattori, finendo per rimanere contaminate dalle radiazioni. E c’è sempre la possibilità che un altro terremoto o qualche altro disastro possa rompere di nuovo i reattori.

Tuttavia, gli esseri umani non possono entrare nel cuore dei reattori di Fukushima per trovare il combustibile mancante, almeno non senza assorbire una dose letale di radiazioni. Il lavoro dovrebbe essere svolto da robot.

Ma nessun robot aveva mai svolto una missione del genere prima d’ora. Molti avevano già provato e fallito. I detriti li facevano inciampare. I muri di cemento spessi nello Yard minacciavano di bloccare i loro segnali wireless. Le radiazioni interferivano con i loro microprocessori e le componenti della telecamera.

E così è toccato a Matsuzaki, uno scienziato senior di 41 anni del ramo di tecnologia nucleare di Toshiba, aiutare a costruire una macchina con l’obiettivo di non aggiungere un altro cadavere di robot ai tanti già sparpagliati tra i reattori.

Il solo fatto di posizionare il Sunfish e il suo equipaggiamento di supporto, all’interno dell’enorme edificio in cemento che ospitava uno dei reattori paralizzati, richiedeva due giorni. A turno, quattro team separati configuravano il pannello di controllo, il tamburo del cavo e altre apparecchiature necessarie al robot. Anche in tute protettive complete, ogni gruppo di lavoratori poteva trascorrere solo pochi minuti all’interno della struttura, lavorando alla luce delle lampade elettriche portatili in mezzo a un boschetto di macchinari, tubi e passerelle. Quando una squadra assorbiva la massima dose giornaliera di radiazioni consentita, veniva sostituita da un altro gruppo. Lo stesso Matsuzaki fece due incursioni all’interno per dare gli ultimi ritocchi al Sunfish, sudando dentro la maschera e il body, i nervi che saltavano ogni volta che il suo monitor portatile si colorava per indicare che aveva ricevuto un altro incremento della sua dose di radiazioni ammissibile.

Al di là del pericolo immediato, ripulire Fukushima rimane fondamentale per riparare l’immagine dell’industria energetica giapponese. Sulla scia del disastro, il Giappone ha chiuso tutte le sue centrali nucleari, che coprivano circa il 27% del fabbisogno energetico della nazione. Per sostituirle, ha dovuto aumentare in modo massiccio le importazioni di costosi combustibili fossili. Da allora alcune centrali nucleari sono state autorizzate a ricominciare, dopo anni di aggiornamenti di sicurezza, ma Fukushima è costata al settore gran parte del suo sostegno pubblico. I sondaggi mostrano che la maggioranza del giapponesi si oppone al nucleare.

Il disastro ha anche inferto un duro colpo all’industria nucleare globale, che si era guadagnata il favore anche tra alcuni ambientalisti come alternativa priva di carbonio ai combustibili fossili. All’indomani del tracollo, la Germania ha annunciato che eliminerà del tutto l’energia nucleare, il Vietnam ha abbandonato i piani per costruire reattori e l’intero settore è stato costretto sulla difensiva. Ogni nuovo reattore proposto ora deve rispondere alla domanda: come facciamo ad avere la certezza che questo non sarà un altro Fukushima?

Non c’è da stupirsi che nelle notti che precedono la missione, Matsuzaki sentisse la pressione. “Ho avuto incubi sul suo fallimento”, confessò al suo capo, Akira Tsuyuki. “Anch’io”, disse Tsuyuki. A tarda notte, il 18 luglio 2017, a poche ore di distanza dalla partenza della missione, Matsuzaki era sveglio, chiedendosi se la tecnologia della sua squadra sarebbe stata in grado di competere con Fukushima.

LA ZONA CALDA

Dopo il disastro, circa 165.000 persone hanno dovuto evacuare l’area circostante l’impianto di Fukushima, per evitare l’esposizione alle radiazioni. Oggi, anche dopo i grandi sforzi compiuti, volti a ripulire l’area, 50.000 persone non possono ancora tornare a casa.

Nelle prime caotiche settimane dopo la fusione, con livelli di radiazioni troppo intensi per consentire a chiunque di lavorare all’interno dei reattori, Tepco si è affrettato a schierare i robot per valutare e contenere il danno. I robot con i trattori di iRobot, i droni di Honeywell e un prototipo di mech della Tohoku University hanno esplorato la struttura disseminata di macerie e hanno cercato di misurare l’intensità delle radiazioni.

Nei mesi e negli anni che seguirono, Fukushima divenne sia un mercato che un terreno di prova per le tecnologie robotizzate in continua evoluzione progettate per operare in condizioni pericolose. Caricatori front-end telecomandati, retroescavatori e altre attrezzature pesanti sono state utilizzate per rompere i detriti radioattivi e caricarli su autocarri telecomandati. Un robot ambulante a quattro zampe ha studiato gli edifici del reattore. Sono stati inviati robot con scanner 3D per raccogliere immagini e mappare i livelli di radiazione. I robot subacquei ispezionavano le piscine dove erano conservate le barre di combustibile esaurito, scattando foto.

Ma nessuno di questi robot era in grado di penetrare nelle aree più interne dei reattori. Nell’agosto 2013, il governo giapponese ha riunito un consorzio di servizi pubblici e aziende private, tra cui Mitsubishi, Hitachi e Toshiba, per creare una macchina su misura per gli ambienti più difficili.

Kenji Matsuzaki ha lavorato nel settore della tecnologia nucleare di Toshiba per più di 10 anni, e nel maggio 2016, quando è stato assegnato al team per lo sviluppo di un robot in grado di esplorare l’interno dell’unità 3 di Fukushima, aveva già parecchia familiarità con l’architettura di base della pianta. Tutti e sei i reattori dell’impianto sono ad acqua bollente, un tipo progettato alla fine degli anni ’60 e presnete in tutto il mondo, incluso negli Stati Uniti. Generano elettricità facendo circolare l’acqua attraverso i loro nuclei surriscaldati, convertendoli in un vapore che viene utilizzato per trasformare i generatori di turbine.

Ci sono voluti mesi di ricerca, sperimentazione e test nei laboratori di Toshiba e in un enorme serbatoio di simulazione presso il Port and Airport Research Institute, gestito dal governo, per creare la piccola macchina. Il team di Matsuzaki ha dovuto provare diverse configurazioni di eliche, fotocamere e sensori, aumentare la potenza dei motori dell’elica, sviluppare un nuovo tipo di rivestimento per far muovere il cavo in modo più fluido e garantire che l’intero pacchetto potesse resistere a un livello di radiazioni molto alto.

Verso le 4.30 del mattino del 19 Luglio 2017, un gruppo di tecnici Toshiba – indossate le protezioni – ha fatto il suo ingresso nell’edificio del reattore. Hanno raggiunto velocemente il muro esterno della nave di contenimento e salito una scala a gradini fino all’apertura dove era stato pre-posizionato il robot con il suo equipaggiamento. Hanno aperto la valvola sopra l’apertura, quindi hanno spinto dentro un tubo di guida pesante, con il Sunfish sulla punta. Lentamente e con cura, hanno inclinato la pipa finché il bot è scivolato nell’acqua sottostante.

Dentro, era completamente buio. Sui loro monitor nella sala di controllo, la squadra di Matsuzaki, collegata ai comandi di Sunfish tramite il cavo elettrico, poteva vedere solo una striscia stretta di acqua torbida attraversare il pavimento illuminato dal taglio di luci del Sunfish. Seduto a un lungo tavolo, un tecnico ha “guidato” il Sunfish con un controller simile a quello usato per i videogame. Un altro si occupava del cavo, tenendolo teso in modo che non si ingarbugliasse mentre il robot nuotava da una parte e dall’altra. Un terzo ha fatto del suo meglio per stimare la posizione della macchina utilizzando un modello software 3D della nave di contenimento. Matsuzaki li ha supervisionati tutti, cercando di dimenticare il plotone dei funzionari delle multinazionali che lo sorvegliavano alle sue spalle.

Hanno manovrato il Sunfish intorno all’area, documentando il più possibile prima di estrarre il bot. Quando Matsuzaki ha dichiarato la missione compiuta, la sala di controllo è esplosa in un applauso.

Ora, l’impianto di Fukushima, un complesso che copre circa 860 ettari, è molto più sicuro di quanto ci si aspetterebbe. La maggior parte delle aree sono state decontaminate al punto che, per lavorarvi, non sono più richieste tute complete. Gli oltre 5.000 operai incaricati di pulire il posto hanno abbattuto centinaia di alberi di ciliegio, hanno coperto il fondo marino appena al largo della costa con l’argilla, per sigillare il cesio che si è insinuato nel fango dopo il disastro. Usando un’enorme macchina per la gestione del carburante, appositamente costruita, hanno rimosso le centinaia di barre di combustibile di uranio esaurito dall’unità 4, un reattore che è stato danneggiato da un’esplosione ma che non si è sciolto.

Ancora molto resta da fare. “La missione di Sunfish è un passo avanti, non un salto. Ci stiamo avvicinando sempre di più, ma abbiamo una lunga, lunga strada da percorrere”. Tepco continua i suoi sforzi per esplorare l’interno dei reattori. Le scoperte di Sunfish hanno aiutato a muovere la palla in avanti. Gli ingegneri hanno ora iniziato a pensare a come costruire la prossima generazione di robot che dovranno svolgere l’impresa più complicata di tutti: rimuovere il combustibile fuso.

In definitiva, non esiste una tecnologia in grado di risolvere in modo semplice ciò che è accaduto a Fukushima. L’unica certezza è che sarà un processo lento, frustrante, che potrebbe non essere completato nemmeno nella vita di Kenji Matsuzaki. Per ora, tutto ciò che gli scienziati, gli ingegneri e i tecnici possono fare è tenere la radioattività sotto controllo, rintracciare la sua fonte e provare a catturarla. Ma prima, hanno bisogno di creare i robot per farlo.

 

di Vince Beiser

 

Tratto da Quartz, titolo originale: The Robot Assault of Fukushima. Traduzione di Alessandro Fiorenza.

[dt_quote font_size=”normal”]

Non esiste una tecnologia in grado di risolvere in modo semplice ciò che è accaduto a Fukushima. L’unica certezza è che sarà un processo lento, e che serviranno i robot per portarlo a termine

[/dt_quote]

[dt_blog_masonry image_scale_animation_on_hover=”n” image_hover_bg_color=”n” bwb_columns=”desktop:1|h_tablet:1|v_tablet:1|phone:1″ dis_posts_total=”3″ content_alignment=”center” post_date=”n” post_category=”n” post_author=”n” post_comments=”n” post_content=”off” read_more_button=”off” category=”news”]

- Advertisement -spot_img

Talk For

F&NEWS