Traduzione di Giuseppe Muraca
All’inizio di quest’anno, i ricercatori di Uber si sono posti una domanda fondamentale: in che modo gli umani interagiscono realmente con i computer? Per rispondere a questa domanda, sono state effettuate ricerche etnografiche sulle reazioni dei conducenti di Uber a un nuovo sistema computerizzato ad attivazione vocale, raccogliendo le informazioni in tempo reale. I risultati sono stati stimolanti. Quando i conducenti di Uber hanno apprezzato il tono della voce computerizzata e, soprattutto, si sono sentiti in grado di mettere in pausa i comandi vocali a piacimento, hanno apprezzato la tecnologia e l’efficienza che ha prodotto. In caso contrario, hanno evitato di utilizzarla. “Dovevamo assicurarci che i driver potessero spegnere la voce. . . per non irritarli”, ha detto Jake Silva, ricercatore, a una conferenza sulla prassi etnografica in Industria della scorsa settimana, rilevando che Uber sta di conseguenza rodando questa nuova funzione. Questo è simbolico. Oggi c’è una grande quantità di opinioni sulle minacce poste dai robot alla dignità umana e al lavoro. E non c’è da stupirsi. Sei anni fa, gli economisti dell’Università di Oxford hanno suscitato scalpore prevedendo che il 47% dei posti di lavoro negli Stati Uniti saranno a rischio a causa dei robot. Le analisi successive hanno riprodotto tali previsioni. Inoltre, come hanno sottolineato gli studi di McKinsey questo processo colpirà particolarmente le fasce più deboli.
Tuttavia, un altro aspetto di questa storia viene spesso ignorato: anche l’innovazione digitale creerà posti di lavoro. McKinsey ritiene che questa creazione di posti di lavoro potrebbe essere così significativa che le previsioni sulla futura disoccupazione di massa sono sbagliate.
Nell’ultimo anno Google ha sviluppato strumenti di intelligenza artificiale per i propri impiegati, chiamati prodotti “GSuite”. Ma quando i ricercatori di Google hanno recentemente condotto una ricerca etnografica hanno notato qualcosa di importante: gli impiegati di oggi tendono a fare una distinzione mentale tra lavoro “centrale” (o lavoro con cui “si identificano”) e lavoro “periferico” che non contribuisce al loro successo o felicità”.
Gli impiegati useranno prontamente l’IA per sostituire il lavoro periferico. Ma non la utilizzano per i lavori principali. Secondo i ricercatori Google questa ricerca sta “aiutando a trovare le misure strategiche da prendere per integrare l’IA, adattandola a tutti i tipi di lavoro. La società di consulenza ReD Associates ha recentemente studiato, per estrapolarne un modello, il modo in cui le persone che hanno perso il lavoro a causa dell’AI hanno iniziato a collaborare in società di consulenza gestionale. Separatamente, gli etnografi di ReD hanno anche osservato l’impatto dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione sugli operatori sanitari francesi e sui venditori assicurativi americani e hanno scoperto che i lavoratori stanno “adottando misure per rimanere competitivi” in modi inaspettatamente creativi. I tecnici dei dispositivi medici si stanno rinominando come fornitori terapeutici di “assistenza ai pazienti”; i venditori assicurativi si stanno ridefinendo come “consulenti per il rischio”. “Quando si fanno previsioni sulla disoccupazione futura a causa dell’automazione. . . non basta calcolare semplicemente la percentuale di compiti cognitivi o manuali all’interno di un determinato lavoro che potrebbe teoricamente. . . essere realizzato da un computer”, conclude il team ReD. “Tali previsioni non tengono conto del nuovo valore che i lavoratori possono creare per rimanere competitivi”.
Gli ingegneri del laboratorio di veicoli autonomi di Nissan sono d’accordo: “Non dovremmo associare l’automazione solo agli esseri umani che escono fuori dal circuito”. I dirigenti dell’azienda hanno scoperto che le “tecnologie automatizzate”, come le automobili senza conducente, “hanno effettivamente bisogno di lavoratori umani” per svilupparle, commercializzarle e monitorarle. Tali scoperte non alleviano il dolore delle persone che sono già stati sostituiti dai robot. Né mitigherà lo sconvolgimento politico alimentato dal fatto che l’automatizzazione tende ad aumentare la disuguaglianza. Ed è ancora quasi impossibile trovare buoni dati che misurino il modo in cui il modello di creazione e distruzione di posti di lavoro si sta bilanciando. I politici e gli economisti devono concentrarsi su entrambi i lati di questa equazione. Devono anche incoraggiare l’interazione tra gli scienziati computazionali che stanno sviluppando queste tecnologie e i sociologi che misurano il loro impatto.
La vera lezione del pulsante “barge-in” di Uber è che quando i lavoratori sentono di avere un minimo di controllo, abbracceranno l’innovazione e l’efficienza che porta. Senza quel senso di controllo, c’è il rischio di contraccolpo. Gli investitori in titoli tecnologici dovrebbero prenderne atto.
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