Ogni scelta che un’azienda compie è sotto i riflettori. Abbiamo visto come le scelte sui temi più disparati – sostegno all’Ucraina, alla comunità LGBTQ+ – abbiano fortemente condizionato anche le azioni di questa o quell’azienda sul mercato. Eppure, c’era un tempo in cui la reputazione aziendale, condizionata appunto dalle scelte e dai valori dell’azienda, non aveva il posto che occupa ora. La lotta per l’attenzione, in ogni campo, ha comportato un cambiamento enorme.
Ne abbiamo parlato durante il Digital Talk “Guerra per l’attenzione, dopoguerra della reputazione” organizzato da Merco in partnership con la Fondazione Ottimisti&Razionali (qui per rivedere l’evento integrale).
“Prima l’azienda era divisa in compartimenti stagni, oggi invece qualunque scelta aziendale è diventata pubblica e ha reso qualunque discorso pubblico emergenziale o estremo”, ha spiegato Massimo Micucci, Direttore di Merco Italia e moderatore dell’evento. Ora, quindi, le scelte aziendali sono importanti quanto i risultati economici. A società e leader è richiesta un’esposizione pubblica.
La sfida della reputazione
Cos’è la reputazione? Lo ha spiegato in modo semplice ma efficace Toni Muzi Falconi, Senior Advisor di Methodos. Nella disciplina della reputazione, al primo posto c’è l’identità dell’organizzazione, poi l’immagine e infine la reputazione. “La reputazione si realizza quando la persona di cui si parla è assente”. Anche Muzi Falconi ha individuato un prima e un dopo, indicando nella pandemia lo spartiacque epocale in cui il rapporto fra reputazione e scienza è cambiato radicalmente. Il Covid, lo ha detto anche Gaetano Grasso, CEO di Beryllium, ha accelerato i processi in modo quasi violento. Le aziende hanno cambiato radicalmente il proprio modo di comunicare, non ci sono più divisioni interne sul modo in cui gestire presenza esterna e interna. Le aziende si occupano di questioni pubbliche e politiche, prima delle istituzioni. Si è verificato un vero e proprio “abbattimento della distinzione tra sfera pubblica e privata all’interno dell’azienda. La sfida ella reputazione è totale, quotidiana, non è delegata all’ufficio comunicazione o al CEO”.
La reputazione come parte della strategia aziendale
Per Vincenzo Manfredi, Delegato Nazionale FERPI lobby e advocacy, la stragrande degli imprenditori piccoli e medi, che formano il tessuto economico finanziario del nostro Paese, guarda a comunicazione e reputazione come un qualcosa di ulteriore e successivo rispetto alla loro attività, mentre dovrebbe essere il contrario. La figura del Public Affairs dovrebbe entrare in gioco all’inizio della strategia. “Se riuscissimo a inserire nelle strategie aziendali obiettivi di sostenibilità e reputazione – cambiando prospettiva e modo di fare impresa – potremmo dirci che siamo entrati nel mondo dello stakeholder capitalism”.
“La reputazione tema imprescindibile, e vogliamo dimostrare che incide sul fatturato delle aziende”, ha spiegato Simona Petrozzi, CEO di Siro Consulting e Vicepresidente nazionale Terziario Donna Confcommercio. Il CEO di un’azienda porta con sé anche la propria reputation, e è nel suo interesse che anche l’azienda abbia una reputazione positiva. Da una parte, che l’interesse del CEO come persona fisica, dall’altra dell’azienda stessa. La reputazione per Simona Petrozzi è “un affascinante caleidoscopio”. E per migliorarla bisogna comunicare il “virtuoso fare quotidiano”. Le prassi virtuose che si possono mettere in atto contribuiscono a una reputazione ottimale e ad un ritorno economico in bilancio.
Come attirare l’attenzione
La nostra attenzione passa da una cosa all’altra velocemente, non siamo mai concentrati su una sola cosa. La lotta, per Laura Rovizzi, CEO di Open Gate, è anche per attrarre il proprio cliente, il proprio ascoltatore. La guerra per l’attenzione degli stakeholder diventa uno degli strumenti di marketing. Parlare di ESG (reporting ambientale, sociale e di governance) e social corporate responsabilities significa buona reputazione ma, in realtà, non è altro che una decisione presa perché qualcuno ha avuto nel vincere la guerra per l’attenzione e vendere un piano di marketing che ha comportato gestione ottimale del consenso.
“Ogni piano di gestione del consenso che costruisce la reputazione, che non è buona o cattiva, ma è una, necessita di strumenti di marketing e misurazione”.
Marica Spalletta, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Link Campus University, focalizzandosi sul versante dell’“attenzione”, ha sottolineato che essa può essere stimolata da noto e ignoto, può essere attirata dal versante razionale o emozionale. Ma anche la vicinanza o la distanza sono importanti: la reputazione conta più se il soggetto in questione è distante. La reputazione è l’esito di un processo: due persone negoziano una relazione che si trasforma poi in relazione fiduciaria.
“La reputazione è sempre più espressione di un atto di fede che l’esito di un processo di fiducia”
I tempi della reputazione e i tempi della comunicazione
Per Licia Soncini, Presidente del Comitato sostenibilità Atlantia, è vero che la reputazione si perde in un attimo, ma non è altrettanto vero che si impiegano anni a ricostruirla. Dopo il crollo del Ponte Morandi, in Atlantia è stato fatto un ottimo lavoro con l’attuazione di politiche ESG che hanno permeato tutte le divisioni dell’azienda.
In tutte le attività anche Social e Government sono spesso in secondo piano, e la maggioranza si concentra sull’ambiente. Per Licia Soncini vero motore elle politiche ESG è la Governance. Se agiamo attraverso la Governance si penetrano tutte le attività dell’azienda e siamo efficaci anche su Social e Environnement. Di Atlantia è stata ricostruita non solo la reputazione, ma l’identità.
Se non ci si occupa delle politiche ESG, il valore dell’azienda non si preserva.
La reputazione ha tempi lunghi e la comunicazione ha tempi sempre più brevi, ha notato Claudio Velardi, Presidente della Fondazione Ottimisti&Razionali. “Fino a quando le aziende e le istituzioni non diventeranno intrinsecamente comunicative, il gap dei tempi veloci della comunicazione e quelli più lunghi della reputazione sarà difficile da colmare”.
Per Velardi, i tempi della reputazione si velocizzeranno solo quando le aziende diventeranno intrinsecamente comunicative. Le aziende, insomma, devono diventare media company.