domenica, 24 Settembre 2023

Finanza e Welfare: il Social Impact Bond, una risposta giusta per il sociale

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Nel 68% dei casi i detenuti nelle carceri tornano a delinquere. È la fotografia scattata lo scorso anno da Info Data – Il Sole 24 Ore. Il dato racconta prima di tutto una storia di emarginazione, la giostra senza fine di chi, una volta fuori, torna a commettere reati. La condizione nelle carceri è spesso disumana, le misure alternative alla detenzione poco applicate e il reinserimento lavorativo molte volte inefficace. E, così, il tasso di recidiva non scende.

C’è però chi non si arrende a questo meccanismo vizioso che spesso si instaura e ha pensato di dare una mano in più al reinserimento nel tessuto sociale, attraverso un sistema di welfare legato alla finanza. È il caso del Regno Unito, che ha detto no alla recidiva carceraria. Nel 2010, Oltremanica hanno, infatti, sviluppato il primo Social Impact Bond (Sib) nel carcere di Peterborough: uno strumento di finanza ad impatto sociale che serve a sperimentare e innovare i modelli di intervento nel welfare, attraverso la compartecipazione al rischio di pubblico e privato. Uno strumento che include modelli alternativi per finanziare azioni di intervento nel settore sociale e che in questo settore rappresenta appunto un nuovo modello di innovazione.

E in Italia?

Siamo solo agli inizi, ma ci stiamo lavorando. E proprio da Torino è partito il primo Social Impact Bond. La Casa Circondariale Lorusso e Cutugno è stata la prima protagonista di reinserimento sociale e lavorativo di persone detenute, con strumenti finanziari pay by result. L’obiettivo: meno detenuti rientreranno in carcere dopo il percorso di reinserimento, maggiore sarà il risparmio per la Pubblica Amministrazione e per la società. Il progetto è stato messo nero su bianco sullo studio di fattibilità, curato dalla Fondazione Human Foundation, guidata dall’ex Ministra Giovanna Melandri, insieme alla Fondazione Sviluppo e Crescita Crt. La mission è promuovere soluzioni innovative in risposta ai crescenti bisogni sociali e favorire la collaborazione tra imprese, PA, investitori e stakeholders per diffondere la cultura dell’innovazione sociale, della valutazione e della finanza ad impatto.

Restano, però, nodi da sciogliere (e ce ne sono ancora parecchi). Quasi tutto il rischio, infatti, è sulle spalle dei finanziatori: nel caso in cui l’obiettivo non venisse raggiunto, perderebbero i loro rendimenti. Insomma, la strada è ancora lunga, ma quello che conta è che è sempre più forte la volontà di investire in attività che abbiano ricadute positive sulla società e sul territorio: il carcere non più come strumento punitivo, ma come luogo di risocializzazione con una visione alternativa e costituzionalmente orientata della pena. Un percorso che ci ricorda che in questo modo potrà essere rispettato il monito di Voltaire: «Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione».

di Claudia Dionisi

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