domenica, 24 Settembre 2023

Facebook: reputazione è potere

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La tempesta dei Facebook Papers è uno Tsunami che rischia di portarsi dietro qualunque sforzo per contrastarla. Dove si vede come la reputazione aziendale non è un “attributo”, una foto di gruppo con sentiment su internet; non è (solo) marketing e neppure solo un’immagine dell’identità, proiettata su un’audience differenziata. La reputazione è una relazione con diversi stakeholder nel tempo, ed in prospettiva la base di un nuovo e complesso contratto sociale tra stakeholder e imprese.

  1. Mentre Zuckerberg assicurava ai parlamenti del mondo che solo il 5% dei discorsi d’odio sfuggiva al controllo di moderazione ed alla limitazione degli algoritmi, whistleblower autorevoli come Frances Haugen, ed una enorme serie di documenti, hanno dimostrato che al lavoro di selezione sfugge più dell’80% e che la dirigenza via via decideva di non agire per imporre impegni e limiti dopo aver scoperto che profitti in Ads aumentano.
  2. Sul gioco al massacro hanno inciso cambiamenti nell’algoritmo, sui quali gli stessi ingegneri di FB avevano attirato l’attenzione. In particolare il “premio” in termini di visibilità garantito alle emoji negative ha spinto persone e media tradizionali a rilanciare la “spirale” di contenuti conflittuali e aggressivi.
  3. Dopo lo scandalo della microtargetizzazione con i “dati degli altri”, a fronte di un conflitto politico esasperato, e dell’ingerenza di account social attivati dai potenze straniere nelle campagne elettorali USA, Facebook è risultata decisiva della propaganda reazionaria, delle fake news.
  4. La reazione alle folli dichiarazioni di Trump, le regole sulla inserzioni politiche, si sono portati dietro anche YouTube e Twitter, ma le misure di trasparenza e anti-odio prese da FB sono state sospese proprio il giorno delle elezioni.
  5. Questa stessa decisione ha contribuito in modo significativo alle peggiori campagne di falsificazione: dall’assalto a Capitol Hill, alle teorie complottiste, fino all’esacerbazione del conflitto razziale. Tutto  senza che la leadership (che seguiva attentamente questi sviluppi) ritenesse di dover cambiare la linea per ragioni di profitto. Fino alla necessità di mettere al bando molti account. “L’odio fa profitto e non possiamo ridurlo” è stata la filosofia che i Facebook Papers hanno messo allo scoperto.
  6. Gli investimenti fatti su scala globale affinché l’algoritmo non premiasse posizioni false (sul virus), estreme o discorsi avvelenati, sono  stati modesti soprattutto in aree del mondo a rischio di conflitti sociali e religiosi. Così l’enorme espansione di FB nel mondo ha dato luogo a campagne estremamente violente e tumulti razziali in India contro i musulmani.
  7. Migliaia di donne nelle Filippine sono state sottomesse alla propaganda di agenzie di “collocamento” nei paesi arabi, rivelatesi vere proprie agenzie di esportazione della schiavitù domestica.

Lo “scandalo” è sistemico, non si tratta di un passo falso, né di “una crisi” nel corso di una navigazione rischiosa ma inesorabile.

Per questo l’annuncio del “cambio di nome” (META) e la ridefinizione dell’ambito di business della piattaforma non possono essere un escamotage comunicativo, un maquillage buonista. A proposito di Metaverso, la Haugen ha detto all’AP, che  «al di là del fatto che questi ambienti immersivi sono estremamente avvincenti e incoraggiano le persone a staccare la spina dalla realtà in cui viviamo realmente, sono anche preoccupata… il metaverso ci richiederà di mettere  molti, molti più sensori nelle nostre case e nei nostri luoghi di lavoro» e rinunciamo a più dati e privacy.

L’epoca dei Grandi Digitali (del dopo pandemia, della riduzione delle emissioni di Co2) richiede qualcosa in più: una rivoluzione nel rapporti tra governi, big companies e Stakeholder (come ipotizza con grande dinamismo il libro di Alec Ross I Furiosi Anni Venti[1]), cioè con tutti coloro che hanno qualunque interesse e o opinione su ciò che una impresa privata fa. Le eventuali nuove regole fanno parte di questo patto.

La reputazione aziendale non è più solo (se mai lo è stata) un tema di identità e immagine, visibilità e apprezzamento, ma è una questione di rapporti di forza, di potere tra shareholder e stakeholder.

Facebook

Società, cittadini, consumatori, istituzioni pubbliche, aziende concorrenti e non, analizzano, giudicano, e tentano di modificare costantemente le relazioni tra loro e con le imprese, tanto più se queste hanno una influenza fondamentale nella loro vita.  

Ecco perché la “reputazione aziendale” (e dei leader) , analizzata secondo diversi punti di vista (atteggiamento psicologico, misura del gradimento, visibilità etc) va considerata come una misura “relazionale” pervasiva, nella quale contano numerosi soggetti e le relazioni tra loro,  gli attivisti e non, i decision makers pubblici e privati, i portatori di interesse informati. Tra questi un peso rilevante dovrebbero avere quelli che potremmo definire stakeholder omologhi, capaci cioè di dare giudizi alla pari (come i manager informati). Almeno quanto quelli sociali.

Articolo a cura di Massimo Micucci, Direttore Merco Italia


[1] I furiosi anni venti: La guerra fra Stati, aziende e persone…

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