Si aprono le danze: oggi, 24 gennaio 2022, parte la strada che porterà all’elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica italiana. Le trattative sono già iniziate; i partiti hanno più o meno indicato le proprie preferenze, la ricerca di posizionamenti e alleanze è frenetica, tra cambi di direzione, frenate e accelerazioni.
Ma per poter capire a fondo le dinamiche, è bene soffermarsi sul metodo di elezione.
Come funziona l’elezione?
Il metodo pensato dai costituzionalisti per le elezioni del Presidente della Repubblica segue una procedura particolarmente complessa, proprio perché si rappresenta la massima carica istituzionale del nostro Paese.
I cosiddetti Grandi Elettori sono 1009, riuniti in seduta comune: 321 senatori, 630 deputati e 58 delegati regionali, tre per Regione (uno per la Valle d’Aosta), per rappresentare anche le minoranze. Per consuetudine, votano prima i senatori, i deputati e poi i delegati regionali.
La votazione prevede l’ottenimento della maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea per i primi tre turni e della più semplice maggioranza assoluta dal quarto turno in poi. Non c’è un numero massimo di votazioni. Ad eseguire poi lo spoglio è il Presidente della Camera, in questo caso Roberto Fico, leggendo i nomi uno ad uno ad alta voce. Una volta eletto il nuovo Presidente della Repubblica, vi è il suo giuramento davanti al Parlamento, che rende ufficiale il suo incarico nei confronti degli italiani e del paese.
La storia delle elezioni dei Capi di Stato
Facciamo allora un passo indietro e vediamo ciò ci insegna la storia: cosa ci dicono le elezioni dei Capi di Stato passati?
Mediamente, come possiamo vedere dal primo grafico elaborato da Openpolis, la votazione viene ripetuta nove volte prima che venga eletto il Presidente della Repubblica. Solo due Presidenti nella storia sono stati eletti entro i primi tre scrutini, quindi con i due terzi delle preferenze: Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, entrambi al primo turno. A fronte di questo risultato, si potrebbe pensare che siano i due Presidenti che hanno goduto di maggiore consenso da parte dell’opinione pubblica. Se Ciampi ha effettivamente goduto di un ampio consenso, Cossiga non ha avuto altrettanta popolarità. Il suo settennato è stato caratterizzato da una critica aperta e pubblica dei partiti e delle istituzioni e viene ricordato con il soprannome di “picconatore”. Si dimise, per altro, il 28 aprile 1992, a due mesi dalla scadenza naturale del mandato

Se consideriamo poi Sandro Pertini, uno dei Presidenti più amati dagli italiani, anche qui il numero di scrutini che ci sono voluti per eleggerlo (16) non è rappresentativo del consenso di cui ha beneficiato. Infatti, Pertini rappresenta la prima svolta importante della figura del Presidente della Repubblica, che assume, con lui, un valore simbolico e politico senza precedenti, diventando un punto di riferimento per tutti gli Italiani.
Soffermandoci poi sulla percentuale di voti favorevoli sul totale dei votanti per ogni Presidente, abbiamo sia delle conferme che delle incongruenze.
A conferma di come le elezioni del 1971 siano state le più difficili (secondo il primo grafico, 23 votazioni), Giovanni Leone risulta essere il Presidente con la maggioranza più ristretta (52%). Il Presidente che ha raccolto più consensi, invece, è Sandro Pertini (83,6%), nonostante le 16 votazioni che ne hanno anticipato l’elezione ma in linea con l’ampio consenso pubblico raccolto nel corso del suo mandato.
Da notare come Enrico De Nicola, che vanta la percentuale di preferenze più alta (94%), è stato eletto nell’ambito dell’assemblea costituente ed è rimasto in carica solo per pochi mesi.

Non è mai tardi per cambiare
Se tiriamo le fila della storia, quindi, Il processo di selezione del Presidente della Repubblica è un percorso incerto fino alla fine. I candidati che risultavano favoriti fino al giorno prima, come Andreotti o Fanfani, non sono mai stati eletti.
Questo la dice lunga sulla difficoltà che ancora oggi le forze politiche hanno ad unire il consenso per gestire un’elezione pensata dai costituzionalisti come un’elezione indiretta, che però i partiti non sono mai riusciti a controllare fino in fondo.
Ma qualche cambiamento è già alle porte. L’elezione per il successore di Mattarella, infatti, sarà l’ultima che avrà questo numero così importante di Grandi elettori. A seguito della legge di revisione costituzionale entrata in vigore nel novembre 2020, ci saranno 230 deputati e 115 senatori in meno. Una questione poi di cui si sta discutendo, a questo proposito, è la sproporzione tra i parlamentari e i rappresentanti regionali (numero rimasto invariato), ma qualcosa si muove.
Il prossimo cambiamento potrebbe riguardare – ad esempio – la revisione della barriera dei 50 anni, anche per lanciare un messaggio alle nuove generazioni. D’altronde, l’elezione dovrebbe avvenire sulla base della preparazione, dell’autorevolezza, dell’esperienza. Nessun legame oggettivo con l’età anagrafica. In Finlandia, Slovenia e Croazia, basta avere 18 anni per diventare Presidenti della Repubblica. In Austria, Polonia, Romania, Ungheria, Irlanda e Cipro, 35. 40 in Repubblica ceca, Germania, Bulgaria, Slovacchia, Estonia, Lettonia e Lituania.
Insomma, il cambiamento ragionato, anche se incompleto o imperfetto, è sempre un andare avanti.