In Italia sentiamo sempre più spesso parlare di economia circolare. Si tratta di un sistema economico che ha alla base una pianificazione per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al minimo gli sprechi. Finora l’economia ha funzionato con un modello lineare take-make-dispose basato sull’impiego di materie prime, sulla produzione, il consumo di massa e lo smaltimento degli scarti. Questo modello caratterizzato dal continuo consumo di risorse e di dismissione definitiva del prodotto dopo il suo utilizzo è diventato ormai inefficiente e troppo costoso. Al contrario in un’economia circolare, i produttori danno vita a beni riutilizzabili. Ad esempio, i dispositivi elettrici sono progettati in modo tale da essere più facili da riparare. Risulta, quindi, necessaria una transizione dal modello lineare a un modello circolare, che in ogni fase – dalla progettazione, alla produzione, al consumo, fino alla destinazione a fine vita – riesca a limitare lo spreco di materie prime ed energia in ingresso e di minimizzare scarti e perdite. La nostra economia mondiale è solo del 9,1% circolare, lasciando un enorme circularity gap. Questa statistica allarmante è stata rilasciata nel primo circularity gap report, nel quale si fornisce un quadro per misurare e monitorare i progressi anno dopo anno. Un fattore essenziale per la transizione a un’economia circolare è la digitalizzazione.
La connessione delle persone, delle aziende e dei prodotti consente di pianificare i processi di fabbricazione del bene assieme a quello dell’utilizzo e del riutilizzo in una logica di sostenibilità ambientale ed economica. In termini essenziali, secondo uno studio di Braungart, McDonough e Bollingher del 2007, “si tratta di perseguire l’eco-efficacia, che significa il ripensamento di processi e prodotti sulla base dell’assunzione che in natura non esistono rifiuti, tutti gli output di un processo diventano input di un altro. Non esiste il concetto di rifiuto. Il punto decisivo è concepire i flussi di input e output come matching ininterrotto tra due processi metabolici: il metabolismo biologico e quello tecnologico”. Nel 2016, anche il Rapporto Intelligent Assets: Unlocking the circular economy potential, pubblicato dalla Ellen MacArthur Foundation in collaborazione con il World Economic Forum, afferma che la connessione tra economia circolare e internet delle cose rappresenti un’opportunità da migliaia di miliardi di dollari. Si stima che gli oggetti connessi tra loro raggiungeranno una quota tra i 25 e i 50 miliardi entro il 2020. Per quanto riguarda l’economia circolare, l’impatto in Europa potrebbe arrivare a 1,8 mila miliardi di euro entro il 2030 (con un aumento del Pil pari all’11% anziché al 4%), una riduzione nell’emissione di gas serra quantificata nel 48% e una riduzione nell’uso di risorse naturali in molti processi produttivi del 32%. Una rivoluzione, in particolare nei settori manifatturieri, come quello dell’acciaio, dove la capacità di riutilizzo e innovazione potrebbe avere conseguenze significative sul lavoro e sull’occupazione. Tre sono le tendenze importanti per la crescita del sistema produttivo, secondo il Rapporto ASVIS 2017: “l’innovazione basata sulle tecnologie digitali; il passaggio all’economia circolare; lo sviluppo di una nuova generazione di infrastrutture adeguate al ventunesimo secolo”. I piani relativi ad Industria 4.0 e all’Agenda Digitale possono essere ulteriormente rafforzati con una maggiore sinergia tra centri di ricerca e imprese. Centrale deve essere la qualità del lavoro e della formazione delle nuove professionalità, necessarie per la trasformazione tecnologica che si sta realizzando e che accelererà nel prossimo futuro. In Italia, sul tema della digitalizzazione dei processi produttivi in un modello di economia circolare, siamo in ritardo. Recentemente è stato promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico uno Studio di Fattibilità per il sostegno a progetti innovativi integrati e di filiera. L’obiettivo è quello di definire un modello incentivante volto a incoraggiare la nascita e sviluppo di imprese cooperative nell’ambito dell’economica circolare, attraverso l’ingresso in nuovi spazi di mercato e nuove forme di creazione di valore. La riflessione sul tema avviata nel mondo cooperativo con questo studio ha permesso di stimolare ed estendere la potenzialità dell’idea progettuale iniziale, ponendo le basi per futuri provvedimenti legislativi.nPer colmare il gap servono maggiori investimenti e una base normativa che possa semplificare la transizione verso il nuovo modello economico circolare.