Precisamente un mese fa, il Ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, affermava che se l’Europa fosse andata verso lo stop al motore endotermico dal 2035 – misura sulla quale si dichiarava fortemente contrario – era perché la scelta era stata concordata con l’industria. Leggere questa dichiarazione mi aveva un po’ scosso, lo ammetto.
Quale industria? Mi chiedevo, innanzitutto. Perché certamente queste parole contengono elementi di verità, ma come per tutte le verità ci sono interpretazioni diverse, che ne fanno scorgere altrettanti diversi lati e, soprattutto, ci aiutano a non confondere le cause con gli effetti.
Partiamo da un principio. Esagero. L’industria non ha gusti, l’industria ha legittimi e liberi interessi. È quindi per questi legittimi interessi che bisogna comprendere quali sono gli elementi di contesto che formano il mercato, le regole che lo sostengono, le direzioni politiche e i maggiori gradimenti di decisori e consumatori. Un perimetro all’interno del quale materialmente si dovranno vendere prodotti e servizi. Serve per direzionare gli investimenti, le ricerche, gli sforzi in bilancio, calcolandone i tempi e i modi di rientro, per ottenere profitto e farci stare tutti meglio. Amen.
È così quindi che se l’industria registra una eccessiva “volatilità di pensiero” e target da raggiungere sempre più ambiziosi e ballerini, e allo stesso tempo percepisce sullo sfondo una preferenza tecnologica invece che un’altra, allora investirà in quella direzione, essendo semplicemente disincentivata a concentrare gli sforzi altrove. Pure se potrebbero portare agli stessi benefici, anche maggiori.
Poi, come mai i decisori (quelli che disegnano il perimetro) siano più convinti di alcune cose che di altre, questo dipende da vari altri fattori, che riguardano per esempio la bravura di alcuni rappresentanti di interessi, gli asset strategici di Paesi che hanno più peso nelle decisioni, le influenze geopolitiche che arrivano da lontano, le conseguenze di una guerra accanto a noi, e un po’ di monitoraggio del mainstream, che serve sempre alla politica per mantenere e spartirsi il consenso, più altre cose del genere.
Ma letta così possiamo dire che, dal tradimento consumato ed ormai appurato del principio di neutralità tecnologica, seppur scalfito nella DAFI del 2014, la direzione delle istituzioni europee oggi è chiara: è solo sull’elettrico. E l’industria segue a ruota. Ma siamo sicuri che sia la soluzione migliore per tutti? Per l’economia, l’occupazione e persino per il Pianeta?
Sia chiaro, sono serio e fermo su questo punto: l’obiettivo è decarbonizzare. Tutti noi vogliamo vivere in un mondo più sano, in un ambiente che non veda conflitto tra natura e uomo ma una convivenza pacifica, finalizzata allo sviluppo dell’essere umano, che per essere “sviluppo buono” deve necessariamente essere sostenibile, e tenere in considerazione il benessere delle generazioni future. Detto ciò.
C’è un errore nell’affermare che le auto elettriche producono zero emissioni. E quell’errore sta nel modo in cui vengono calcolate, ossia soltanto allo scarico. È un errore grande quanto una casa, enorme e imbarazzante quanto un elefante in un piccolo negozio di souvenir di ceramica. Ma stiamo facendo finta di non vederlo, e soprattutto non lo abbiamo spiegato bene alle persone.
Dirò cose che gli esperti già sanno, mi perdoneranno, ma la necessità è proprio quella di arrivare ai non esperti. Perché sono loro che determinano molte cose, e se gli diciamo che l’unica strada è l’elettrico loro chiederanno soltanto l’elettrico, politica e industria poi seguiranno. Il calcolo delle emissioni di gas climalteranti ha senso se realizzato sulle emissioni prodotte durante tutto il ciclo di vita della produzione di una batteria o di un veicolo. Un calcolo cioè LCA (Life Cycle Assessment) e non solo “allo scarico”, come dicevo.
Se realizziamo questo spostamento di prospettiva allora la situazione cambia, e soprattutto ci rendiamo conto che quanto avvenuto con la nostra dipendenza dalla Russia per il gas potrebbe ricapitare con la Cina, per i metalli necessari. Se è vero infatti che le energie rinnovabili si chiamano così perché sono infinite, non sono infiniti i materiali che servono per poterle utilizzare, stoccare, far circolare, e sono praticamente nella gestione quasi monopolistica della Cina. Non proprio un dolce modello democratico.
Concentrando tutto solo sull’elettrico, che è una delle possibili opzioni da tenere in considerazione, non faremmo altro che regalare ad altri una supremazia industriale, politica ed economica, che in questo momento di forte crisi occidentale dovremmo provare a trattenere in questa parte del Mondo. E inoltre, aggiungo per i più sensibili al tema, non faremmo altro che delocalizzare lì le emissioni, generando comunque ricadute negative globali, considerando persino il necessario incremento di produzione che ci attende (calcolato tra il 400 e il 4000%).
Vogliamo davvero passare da un sistema ad alto consumo di carburanti ad un sistema ad alto consumo di terre rare? Litio, Cobalto, Zinco, Rame e Nichel. “Bisogna scavare 500mila libbre di materiali per fare una singola batteria da mille libbre” scrive l’esperto di energia Mark Mills, del Manhattan Institute “e la sola produzione di una batteria può avere un tasso di debito carbonico che richiede anni per essere riassorbito”. Dalla California arriva poi un urlo di protesta degli ambientalisti, che si scagliano contro le auto elettriche: sono troppo inquinanti. Quindi? Che fare?
Nel frattempo qui da noi, in occasione del voto sullo stop al motore endotermico dal 2035, l’industria europea dell’automotive si è fatta sentire davvero, e ha ribadito che l’elettrico non è l’unica soluzione. Seppur troppo tardi per il trasporto leggero, la riflessione è ancora in tempo per il trasporto pesante. È passata un po’ in sordina in Italia ma centoventi stakeholder europei del comparto automotive, tra associazioni e aziende, e 95 scienziati hanno firmato una lettera indirizzata alle istituzioni dell’Unione chiedendo una riconsiderazione dei green fuel nella strategia comunitaria dei trasporti.
Carburanti rinnovabili e biocarburanti con impatto carbonico zero, o addirittura inferiore a zero. Una possibile soluzione, accessibile sin da ora per accelerare la decarbonizzazione e salvare decine di migliaia di posti di lavoro, perfettamente compatibile con impianti, reti di distribuzione, competenze e infrastrutture, che altrimenti sarebbero destinati all’obsolescenza.
Neanche a farlo apposta mentre scrivo questo commento mi arriva un’agenzia, è del Ministro Gilberto Pichetto Fratin, e dichiara: “Oggi l’auto elettrica è fatta solo per i ricchi, noi abbiamo un parco auto di 40 milioni di auto, abbiamo ancora 2 milioni di auto Euro 1-Euro 2. Pensare di sostituirle con l’elettrico è inimmaginabile in questo momento, è un percorso da fare ma bisogna essere meno ideologizzati e più razionali ed equilibrati”.
E mai come questa volta sono d’accordo con il Ministro, servono tempi realistici, più razionalità e, aggiungo, un pizzico in più di ottimismo.
Editoriale a cura di Michele Vitiello, Direttore della Fondazione Ottimisti&Razionali