C’era una volta l’Unione dell’Energia. Era il 2015 e la Commissione Europea pubblicava la sua Strategia “Unione dell’Energia” per “un approccio olistico al coordinamento e all’integrazione delle politiche energetiche dell’Unione Europea e dei suoi Stati Membri”.
A sette anni da quella Strategia, la crisi energetica dimostra che gli intenti della Commissione sono rimasti tali.
Dall’inizio della rincorsa dei prezzi di gas naturale ed elettricità, che precede di alcuni mesi lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, la Commissione si è limitata a fornire semplici linee guida agli Stati Membri su come fronteggiare gli effetti di prezzi energetici progressivamente sempre più elevati.
In assenza di un effettivo coordinamento da parte di Bruxelles, e per buona pace dell’integrazione delle politiche e dei mercati energetici, gli Stati Membri hanno risposto con misure tra loro eterogenee. C’è chi, come Spagna e Portogallo, ha introdotto un tetto al costo del combustibile per le centrali a gas per calmierare i prezzi dell’elettricità. La Francia ha invece adottato un limite del 4% agli aumenti delle bollette e imposto a EDF la vendita di elettricità a prezzi calmierati ai fornitori concorrenti.
L’Italia ha approvato una molteplicità di misure quali, tra le altre, azzeramenti o riduzioni di alcune componenti della bolletta di luce e gas, crediti di imposta alle imprese, tassazione di presunti extra profitti delle imprese energetiche. Come se non bastasse, a colpire le imprese energetiche dopo la tassa sugli extra profitti, anche il blocco delle modifiche unilaterali ai contratti che i venditori possono operare ai propri clienti in risposta agli aumenti eccezionali dei costi di elettricità e gas.
Tutte queste misure, come osservato dalla Commissione Europea in più di una Comunicazione, possono determinare effetti avversi sulla concorrenza nei mercati e sugli scambi di elettricità e gas tra Stati Membri. Pertanto, devono essere adottate in modo transitorio e oculato. Tradotto, ciò significa che tali azioni potrebbero tradursi in maggiori esportazioni di elettricità e gas e, quindi, in un rischio per la sicurezza energetica del Paese esportatore che ha adottato la misura. Oppure nell’uscita dal mercato di alcuni fornitori di luce e gas con conseguente riduzione della scelta commerciale e aumento dei prezzi applicati ai clienti finali.
Ma nonostante tali rischi, esacerbati dal fatto che in presenza di azioni eterogenee gli effetti negativi sui mercati possono manifestarsi con entità eterogenee tra diversi Stati Membri, Bruxelles ha continuato a non intervenire con un effettivo coordinamento.
Quando poi la Commissione ha provato a effettuare un coordinamento delle politiche europee per fronteggiare la crisi energetica, le intenzioni si sono tradotte in un nulla di fatto. È dell’aprile scorso la decisione della Commissione di istituire una piattaforma europea per gli acquisti comuni di gas naturale allo scopo di coordinare gli approvvigionamenti degli Stati Membri per evitare situazioni di disparità tra Paesi e beneficiare di prezzi più bassi grazie ad acquisti collettivi. Di acquisti comuni neanche l’ombra e di che cosa stia facendo tale piattaforma non vi è notizia. Gli Stati Membri, diversamente, si sono mossi ciascuno per la propria strada avviando da tempo negoziati con Paesi esportatori di gas alternativi alla Russia.
Analoghe considerazioni valgono per i meccanismi di solidarietà tra Stati Membri per il riempimento degli stoccaggi e previsti dalla versione aggiornata, adottata a giugno dal Consiglio e Parlamento europeo, del Regolamento europeo sulla sicurezza degli approvvigionamenti gas. Anche tali meccanismi, a un mese e poco più dall’inizio dell’inverno, sembrano essere rimasti lettera morta.
In ultimo, il silenzio. Dopo settimane in cui il prezzo del gas naturale ha raggiunto valori drammaticamente insostenibili per famiglie, imprese e operatori del comparto energetico, da Bruxelles neanche un cenno. Un incontro tra i Ministri dell’Energia europei si terrà solo questa settimana. Tra gli argomenti che saranno trattati, vi è l’imposizione di un tetto al prezzo di importazione del gas naturale. Per cui, con tutta calma, era attesa una prima valutazione di fattibilità da parte della Commissione entro settembre. Difficile sperare in decisioni immediate data la diversità di vedute sulla questione da parte degli Stati Membri e che in parte giustifica la ritardata discussione del tema.
I prezzi del gas naturale di queste ultime settimane suggeriscono che il rischio di una interruzione delle forniture di gas russo è percepito dal mercato come concreto. Stessa percezione che ha indotto la Commissione a pubblicare la Comunicazione Save gas for a safe winter contenente linee guida sul coordinamento di azioni volontarie (che diverrebbero obbligatorie in caso di emergenza dichiarata a livello UE) di risparmio e riduzione dei consumi di gas per gli Stati Membri. Oltre a questo, il nuovo Regolamento sulle misure di riduzione dei consumi gas prevede che gli Stati Membri presentino i propri piani di emergenza entro fine settembre. Un termine che, essendo a ridosso dell’inverno e dato il precipitare della situazione (prevedibile), lascia sgomenti. Ma anche su questo, un’azione effettivamente coordinata tra Paesi sarebbe auspicabile, dato il livello di integrazione europea delle catene del valore di diversi settori.
Tuttavia, nonostante la consapevolezza della criticità della situazione e i tanti buoni intenti, i tempi della burocrazia europea continuano a non conciliarsi con quelli della crisi energetica.