Nanjira Sambuli è una ricercatrice, scrittrice e analista politica del Kenya. Attualmente svolge il ruolo di “digital equality advocate” alla World Wide Web Foundation. Il World Economic Forum l’ha contattata per chiedere informazioni sull’uguaglianza digitale e su come la tecnologia sta cambiando il settore umanitario.
Nanjira, sei una sostenitrice del concetto di uguaglianza digitale. Ma in cosa consiste nella pratica?
Nella più semplice generalizzazione, riguarda l’uguaglianza nell’era digitale – che rimane un miraggio per molti. Si tratta di sezionare gli aspetti analogici e digitali delle dimensioni politiche, sociali, culturali, economiche nella società odierna e, in ultima analisi, sforzarci di garantire che non aumentiamo le disuguaglianze attraverso le tecnologie digitali. Ad esempio, solo la metà della popolazione mondiale è online; la crescita del numero di individui connessi è rallentata drasticamente. E questo nonostante esistesse (e rimane tuttora) una mentalità basata sul concetto di “costruiscilo e le persone arriveranno” che ha guidato e continua a guidare la pianificazione, l’innovazione e gli investimenti nel settore tecnologico. Un concetto che tradotto significa rendere disponibili internet e dispositivi di connessione sul mercato, e voilà!
Ma qui entrano in gioco i fattori preesistenti alle tecnologie digitali; ad esempio, le disuguaglianze tra e all’interno delle aree geografiche (es. aree urbane vs rurali, paesi in via di sviluppo vs paesi sviluppati) e le disparità di genere (in ambito politico, socioculturale ed economico) contribuiscono a determinare chi ha accesso ad Internet e può godere dei suoi benefici. Nell’elaborare soluzioni per affrontare questo problema, occorre indagare più a fondo nei motivi per cui le suddette diseguaglianze persistono e in che modo le tecnologie digitali possono essere sfruttate per superarle del tutto, per “non lasciare indietro nessuno”, come professa il mantra degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. L’uguaglianza digitale consiste tanto nello scavare nella storia quanto nel dare un senso al presente, mentre si progetta per il futuro. È uno spazio inebriante che richiede una riflessione trasversale e intersettoriale per integrare l’expertise verticale (specifica del settore). Spesso, però, si è teso a prediligere la seconda strada senza tenere conto della prima, portandoci alla situazione in cui ci troviamo oggi, dove ad esempio falliremo nel raggiungere un obiettivo di sviluppo sostenibile, in particolare l’SDG 9C: aumentare significativamente l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e fornire un accesso universale e a buon mercato a Internet nei paesi meno sviluppati entro il 2020.
Infine, l’uguaglianza digitale – nella mia esperienza – è una questione politica. In particolare, il ruolo della politica pubblica deve essere incentrato sullo sviluppo di strategie coerenti per affrontare la complessità delle problematiche della società odierna. Problematiche che potrebbero facilmente essere esasperate dalle tecnologie digitali, le quali non sono svincolate da – ma al contrario influenzano fortemente – la vita reale delle persone.
In che modo pensa che la società civile possa svolgere un ruolo nell’influenzare la governance delle tecnologie emergenti a fini inclusivi? In generale, come considera la relazione tra il settore della società civile con la tecnologia?
Prima di tutto, devo elogiare gli attori della società civile di tutto il mondo per il lavoro che hanno già fatto nell’influenzare discorsi e decisioni su come le tecnologie emergenti potrebbero avere un impatto sulle comunità che rappresentano. Questo è il settore che ha guidato la carica nel contrastare la corrente di pensiero che vede nella tecnologia la soluzione a tutti i problemi dell’umanità, fenomeno ancora abbastanza dilagante che accompagna ogni nuova tecnologia (lo abbiamo visto con la blockchain, ad esempio, proprio come l’abbiamo visto con le app mobili qualche anno fa). Gli attori della società civile hanno anche meticolosamente individuato le potenziali minacce e documentato i danni reali che le tecnologie emergenti pongono alle persone, all’ambiente e persino nella creazione di nuove divisioni digitali. Sfortunatamente, troppo spesso i nostri avvertimenti sono caduti nel vuoto; solo ora che questi problemi stanno arrivando ad un punto critico sembra che il messaggio venga finalmente ascoltato.
In virtù del fatto di essere immersa nelle realtà delle comunità che rappresenta, la società civile ha un ruolo cruciale nel plasmare la governance di queste tecnologie emergenti. Questo ruolo non deve essere reattivo; se coinvolti sin dall’inizio, ci sono così tante intuizioni critiche che gli attori della società civile possono portare al tavolo – dalla fase concettuale, alla progettazione fino alla messa in campo effettiva – in grado di mitigare la perpetrazione di esclusioni e divisioni nelle società attraverso le tecnologie emergenti.
Cosa deve succedere per rendere il settore più incisivo e preparato per le sfide e le opportunità future? C’è qualche particolare dinamica settoriale che deve cambiare per sbloccare la trasformazione?
Per cominciare, più riconoscimento e apprezzamento del lavoro svolto dalla società civile finora, da quelli che lavorano all’interno delle comunità a quelli a livello internazionale. Sfatare il pregiudizio che questo sia un settore antagonista per l’industria, il governo e per gli attori dello sviluppo ed è urgentemente necessario, poiché tale idea è ancora abbastanza diffusa. È anche il momento opportuno per affrontare questo problema, dato che il modus pensandi “muoviti velocemente e rompi le cose”, che ha guidato altri settori nel campo delle tecnologie emergenti, ha dimostrato – come la società civile già sapeva – che le cose che si rompono sono, di fatto, le società.
Accogliere proattivamente le richieste di umiltà da parte degli altri settori proveniente dalla società civile, accettare che ciò possa comportare il rallentamento del ritmo con il quale adottiamo le tecnologie emergenti per accogliere la riflessione e la verifica di tutte le ipotesi in ogni fase. Significa anche che, affinché tutti i settori lavorino insieme per garantire che le tecnologie emergenti conducano a risultati inclusivi, altri settori dovranno smettere di infantilizzare la società civile – assumendo/tentando di dettare il suo ruolo, o ignorandolo del tutto. Il settore ha bisogno di risorse (finanziamenti) per continuare a svolgere il suo ruolo fondamentale e, in molti casi, per adattare il suo lavoro e la sua strutturazione agli impatti della digitalizzazione. Alla società civile sono affidate enormi aspettative, a cui troppo spesso corrisponde una scarsa considerazione della mole di lavoro necessario e che questo non può essere alimentato esclusivamente dalla passione o dai valori.
Inoltre, c’è la necessità di riforme urgenti sulla strutturazione dei finanziamenti. Sono finiti i giorni in cui era possibile pianificare progetti o programmi su un tema specifico; la digitalizzazione sta rendendo inefficace l’approccio a comparti stagni per affrontare i problemi. Come ho affermato sopra, il raggiungimento dell’uguaglianza digitale richiede il pensiero e il funzionamento laterale, che si traduce nella necessità di un supporto altrettanto laterale (cioè finanziamenti senza restrizioni). Né si deve presumere che il settore sia omogeneo o rappresentato da attori specifici (siano essi internazionali, o quelli che esistono da decenni). Proprio come nell’industria, dove esistono attori consolidati (big tech) e start-up, non si può presumere che le loro prospettive sulle sfide e sulle opportunità future siano simili per le comunità rappresentate dalla società civile.
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Traduzione di Matteo Arlacchi